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Questo libriccino "sedimentato nel tempo" si compone secondo l'autore (nato a Palermo, ma oggi attivo a Napoli) di tre strati "che corrispondono anche a tre diversi modi della scrittura", e si intersecano con continue sovrapposizioni e rimandi, e differenziazioni tipografiche. Leggiamo quindi la vicenda di un ragazzino, probabile alter ego di chi scrive, innamorato della Sicilia non solo per ragioni anagrafiche, ma soprattutto per le tante culture che nell'isola si sono stratificate, rendendola unica e impagabile. Crescendo, Serafino si deve spostare al seguito della famiglia da Palermo a Messina e a Catania, sempre perdendosi nella bellezza delle terre e del mare: "E' un paesaggio omerico, ingurgitante, vorticoso e tellurico". Da adulto deve lasciare l'isola, ma ci ritorna stregato dalla sua aria e dalla sua gente, e la ripercorre da Capo Peloro a capo Spartivento, da Erice a Modica, sempre alla ricerca di nuove, inebrianti illuminazioni; e di incontri, di nostalgie. "Palermo è molteplice e inafferrabile..."; "In Sicilia s'intensificano i sensi: odori, sapori e visioni. Il bello è bellissimo, il brutto bruttissimo". Nel brutto Perrella include la povertà, lo scarso senso civico, il fatalismo, la mafia ("si sparano tra loro, a noi non ci toccano"). Nel bello l'amore per la natura, il fascino delle voci dialettali, il turbamento di un silenzio impenetrabile. Ma anche l'amicizia con personaggi straordinari, come Vincenzo Consolo ("...aveva il viso levigato come un ciottolo vezzeggiato dal mare. Un viso bello e lucente...E un sorriso pieno di sottintesi...). Di Consolo ricostruisce nascita e infanzia a Sant'Agata di Militello, gli studi di giurisprudenza a Messina: e poi il rapporto fondamentale con Sciascia e Lucio Piccolo, il trasferimento a Milano, l'approfondimento culturale delle radici mediterranee, la vicinanza emotiva alla Spagna di Cervantes e alla civiltà araba. In una "scoperta progressiva delle tante Sicilie che esistono nell'isola".
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