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Con brutalità e con delicatezza, con frasi che ogni volta hanno un filo perfettamente tagliente, Cioran vaga in questo libro non già intorno ai «problemi», come fanno spesso i filosofi, ma intorno alle «cose», come fanno i pochi che pensano veramente – e, fra le tante cose, intorno a quella unica che non cesserà mai di torturarci e di travolgerci: il puro fatto di «essere nati», quella rinuncia primordiale alla possibilità che costituisce la nostra esistenza. In questo libro, più che mai prima, Cioran si avvicina a certi temi, a certi modi dei buddhisti più radicali. E forse proprio questa diversione verso l’Oriente, verso la sua asciuttezza dinanzi alle cose ultime, gli permette di trovare un passo aspramente idiosincratico, un’andatura insofferente verso tutto, soggetta però ad «accessi di gratitudine per Giobbe e Chamfort, per la vociferazione e il vetriolo». È il passo di una lunga deambulazione notturna, da cui nasce e si concatena questa sequenza di aforismi, annotazioni, aneddoti, in un tentativo di evasione «dalla Specie, da questa turpe e immemoriale marmaglia».
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L’inconveniente di essere nati (Adelphi, 1991) di Emil M. Cioran è una raccolta di pensieri sparsi, potremmo dire stralci d’autore che però risentono della debolezza di non essere connessi tra di loro, né da un’introduzione, magari sul pensiero e la filosofia di Cioran, né di sezioni di intermezzo, magari per aree tematiche o magari una postfazione che aiuti nell’interpretazione dell’opera. Non consiglierei il libro a chi non conosce l’autore, e comunque se proprio volete cimentarvi consiglio la lettura a piccole dosi non essendo interconnessi da un fil rouge, ma restando pensieri sparsi qui e là. Di seguito qualche pensiero che mi ha colpito: «Ho sempre cercato i paesaggi anteriori a Dio. Da qui il mio debole per il Caos». «I libri andrebbero scritti unicamente per dire cose che non si oserebbe confidare a nessuno». «La poesia esclude calcolo e premeditazione: è incompiutezza, presentimento, baratro. Né geometria soddisfatta, né successione di aggettivi esangui. Siamo tutti troppo feriti e troppo decaduti, troppo stanchi e troppo barbari nella nostra stanchezza per apprezzare ancora il mestiere».
Sapevo fin dall’inizio che il testo si presenta come una raccolta di pensieri sparsi, tuttavia mi aspettavo che ci fosse una parte discorsiva che lega e/o motiva il contenuto del libro (o eventualmente un'introduzione sul pensiero di Cioran da parte di terzi), invece no, e la cosa mi ha lasciata un po’ perplessa e delusa. Sebbene il libro sia comunque ricco di spunti di riflessione interessanti, credo che lo avrei apprezzato maggiormente se avessi avuto una conoscenza approfondita della filosofia di Cioran. Non conoscendo il suo pensiero nei dettagli temo di essermi persa alcuni dei riferimenti contenuti nel libro. P.S. Considerato che il libro conta meno di 200 pagine e la copertina è flessibile, il prezzo di 19 euro mi sembra esagerato.
Certamente non è dei migliori, in particolare rispetto alla Caduta nel tempo o La tentazione di esistere, anche se le tematiche sono le stesse, ma dette con un'insistenza ripetitiva, che in uno stile aforistico risulta anche più greve e dispersivo. Forse sarebbe da leggere con pacatezza, scegliendo qualche aforisma al giorno e meditarci sopra. Stringendo, il significato di questo libro è presto detto: l'uomo è una specie assurda, un vivente-nato-morto, che dovrebbe se non altro comprendere di essere l'incarnazione della malattia, un aborto non riuscito della natura, e che fa di tutto per distruggere se stesso (il che non sarebbe un male) e l'ambiente che lo ricorda (il che è un male). Egoista, incapace di non fare nulla, di godersi nell'ozio, di godersi l'assenza di desiderio, la sua unica nostalgia, se ha un briciolo di saggezza, dovrebbe essere quello di ritornare a come era prima di cadere nel tempo, una perfetta possibilità, il che è impossibile. Non c'è una via di fuga, perché tutte le vie (la saggezza, l'estasi, la santità) non cancellano la caduta. Ci penserà la morte? forse neanche la morte può essere consumata del tutto mentre si muore. Si resta nell'insolubile.
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