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Questo libro, uno dei più belli che abbia mai letto, l'ho trovato per caso, mentre aspettavo sotto la pioggia dei turisti in ritardo.....mai pioggia fu più benvenuta! Sulla Repubblica, sfogliata cercando un articolo sui Finzi Contini, mi é caduto lo sguardo sulla foto di alcune ragazze indiane ed una mezza pagina di articolo : "Un'italiana nell'India delle donne coraggiose". Conoscevo l'autore per fama: chi non ha sentito parlare di Adriano Sofri? Questa volta, pero', Adriano non ha fatto parlare di sè, ma ha descritto una nostra connazionale,che ha lasciato gli agi e le comodita', per cercare di aiutare, nel suo piccolo, e per quanto poteva (riuscendoci molto bene, a mio parere)le donne, le ragazze, le bambine (anche quelle mai nate)di un continente tanto sconfinato quanto sconosciuto ai più, me compresa: l'India. Complimenti a Mariella, per il suo viaggio, per la sua storia che ha scelto di condividere con noi: dopo aver letto il suo libro, ho adottato - a distanza ma vicina nel cuore - una bambina indiana, e quando guardo la sua foto, penso a Mariella, a tutte le persone che, come le formiche, nel loro piccolo e per quanto possono, aiutano senza chiedere niente, nemmeno la fama. Valeria
Recensioni
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Questo libro, piccolo ma molto denso, è il diario di una persona che per professione e per atteggiamento politico/esistenziale guarda, vede, interpreta e classifica le realtà grandi e piccole che l'hanno circondata nell'anno trascorso in India come cooperante di Progetto sviluppo, una ong della Cgil. È stata un'occasione per lavorare in un contesto di solidarietà e cooperazione, ma anche per riprendere forza dopo un periodo di impegno politico amministrativo nel comune di Roma e rispondere a un bisogno di "libertà, di "ossigeno" e a quello "di cercare nuovi bandoli per capire il mondo", e "buoni occhiali" per guardare meglio l'Italia.
Il contenuto è distribuito su venti capitoli che descrivono situazioni, ambienti, percezioni o semplici deduzioni. È una sintesi, più o meno bilanciata, fra osservazione partecipata e letture. Si va dalla descrizione di come l'autrice, assimilata al ceto medio indiano, ha concretamente vissuto in una casa ad Ahmedabad, Gujarat, aiutata per l'organizzazione materiale da una schiera di domestici, alla descrizione della vita negli slums di Ahmedabad in Gujarat; dalla storia e natura dell'organizzazione presso cui lavora, la Sewa (Self Employed Women Association), alla tragedia delle bambine che non possono nascere; dalla piaga del lavoro minorile alle variegate e molteplici espressioni di religiosità (induisti, buddisti, jainisti…); dai problemi dei seguaci delle religioni del libro (islam e cristianesimo) fino a un quasi peana per Sonia Gandhi, "l'italiana più amata del mondo".
All'inizio, come è buona abitudine per chi non è solo giornalista, ma è stata impegnata nella politica locale e nazionale, chiarisce bene l'angolo di prospettiva da cui avrebbe guardato questa realtà così complessa e molteplice della quale, come recita il proverbio indiano citato nel risvolto di copertina, "qualunque cosa tu dica, è sempre vero anche il suo contrario".
Mariella Gramaglia non vuole cadere nella tentazione di rinchiudere tante complessità e differenze in uno dei molti stereotipi utilizzati da noi occidentali; pertanto rifiuta con forza anche gli ultimi cliché apparsi nella pubblicistica italiana e internazionale. Afferma, e il libro ne è testimonianza concreta, che l'India che ha percorso con occhi molto attenti, intelligenza e cuore, non è quella descritta e esaltata da Federico Rampini, "la Shining India", né quella disperata di Arundhati Roy, che già intravede una guerra civile.
Nel posizionarsi, Gramaglia afferma che le interpretazioni dei due, che pur sottolineano fatti concreti e innegabili, peccano di ideologia: sono chiavi interpretative diverse e possibili, ma troppo unilaterali e costrette a vedere solo "lungo una prospettiva colta da un unico punto di fuga". Cerca di trovare risposte, puntigliosamente facendosi domande e avanzando risposte per sé e per noi, rifuggendo da queste due ideologie, da lei ritenute speculari, guardando e partecipando alla vita che i suoi impegni, come cooperante nell'ambito di Sewa e di Progetto sviluppo, le impongono. Nel descriverci i suoi percorsi e itinerari, fisici e mentali, ci offre uno spaccato della vita e dei grandi problemi dell'India di oggi.
Tratta di molte cose, l'autrice, ma poco delle lotte con cui i più deboli fra la popolazione rurale, i braccianti, i contadini poveri, gli adivasi, i dalit, cercano di difendere i propri diritti: i diritti sulle terre, le foreste, l'acqua ecc. Gramaglia sa che non c'è compensazione possibile quando si espropria con la violenza di chi porta il cosiddetto "progresso"; simpatizza con le "dai", le levatrici, organizzate e sponsorizzate dalla Sewa, ma allo stesso tempo non trova niente da dire sulla paternalistica visione di Madre Teresa di Calcutta. Parla con simpatia e partecipazione dei pur limitati risultati dell'azione di ricostruzione in alcune zone devastate dallo tsunami, ma non ci documenta sul perché e come le protezioni naturali delle mangrovie siano state eliminate da imprese di allevamento intensivo dei gamberetti. Eppure era in visita in una zona (Nagappatinam, sulla strada per raggiungere il tempio di Shiva a Tanjavur) in cui da anni una coppia di seguaci di Vinoba e Gandhi Krishnammal e suo marito Jagannathan lottano per la terra accanto ai dalit (letteralmente gli "oppressi") e contro le imprese di allevamento dei gamberetti.
È il 2 ottobre 2007 che si conclude a Delhi la marcia per la terra, organizzata da Ekta Parishad, a cui hanno partecipato venticinquemila contadini poveri e braccianti per lo più provenienti da comunità di dalit e adivasi di tutta l'India. Ma anche di questa Gramaglia non ci dice nulla.
Non ci dice nulla dei molteplici e sempre più frequenti scontri fra polizia, più o meno ufficiale, e popolazioni tribali e contadini poveri minacciati da espropri di terra e risorse forestali a favore delle grandi multinazionali indiane e straniere, che hanno fatto dire a Manmohan Singh che questa è la vera nuova emergenza in India. Su questi conflitti si è rinnovata l'attrazione fatale per molti giovani e meno giovani dei movimenti guerriglieri neo-naxaliti che non si possono certo liquidare come "reperto archeologico"; basta far mente locale su quanto è avvenuto in Nepal.
Gramaglia non approfondisce la cause della strisciante guerra civile, né ci documenta sull'addestramento da parte di militari americani sulle tecniche di antiguerriglia sperimentate dagli Stati Uniti in molti paesi, con i disastri che tutti conosciamo. Non parla delle cause dei suicidi nelle campagne, dello strapotere della polizia, dell'uso di "squadracce" organizzate dai partiti dello stupro contro le più deboli, dell'erosione dell'impianto democratico da parte della destra induista. Quando ne parla, osserva solo che sono le cose che spiegano ma non giustificano la rabbia di Arundhati Roy.
Si tratta di un diario molto puntuale, ma che non vede o non vuole vedere una realtà che forse gli avrebbe fatto trattare Arundhati Roy con parole meno dure. Pur condividendo il giudizio dell'autrice sui movimenti di guerriglia e le possibili derive della lotta armata del secolo appena concluso, che dovrebbero averci vaccinato dalle tentazioni di scorciatoie nella soluzione di conflitti così complessi, non mi sembra proprio che la visione pessimistica di Arundhati Roy possa essere scartata specularmene a quella, sì ideologica, di Rampini.
Forse, da brava giornalista che è, se Gramaglia avesse guardato un po' più da vicino le Sez, le zone economiche speciali, o avesse seguito le vicende dei dalit e degli adivasi o anche, semplicemente, si fosse avvicinata ai disastri socio-ambientali che la modernizzazione delle tecniche produttive agricole ha già generato nelle zone rurali, ne sarebbe venuto fuori un quadro più completo dell'India contemporanea. Certamente molto di più che descrivere un luogo amato dagli hippy ("marziani") per poter incontrare un indiano conosciuto anni fa da un amico (ormai non più hippy) di Gramaglia, o raccontarci di un italiano capo-progetto in un progetto impossibile e totalmente marginale alla dinamica della società indiana.
L'autrice va ringraziata per la ricca bibliografia. Sicuramente molte e buone letture hanno permesso a Mariella Gramaglia di districarsi nella complessità delle situazioni sociali e politiche indiane e aiutano certamente il lettore che voglia documentarsi su un mondo che ci sarà sempre più vicino e simile nei meccanismi socioeconomici. Un utile glossario e nove splendide foto di Laura Salvinelli arricchiscono il testo.
Giorgio Cingolani
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