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Nell'introduzione a questo volumetto, Padre Ermes Ronchi viene definito dai prefatori "poeta della fede e della vita? tessitore di futuro", e in effetti in queste poche pagine riesce a indurre il lettore a una riflessione positiva e carica di speranza sulle sue potenzialità inesplorate o soffocate dalle abitudini e dalle pigrizie quotidiane: «Vivere è l'infinta pazienza di ricominciare. E quando sbagli strada, ripartire da capo. E là dove ti eri seduto, rialzarti. Salpare a ogni alba verso isole intatte. Ma non per giorni che siano fotocopie di altri giorni, bensì per giorni risorti?». Non ci si deve accontentare, quindi, di essere fotocopie sbiadite di se stessi, o di altro che ci viene imposto dalle mode e dalle ideologie; dobbiamo recuperare l'unicità del nostro essere nel mondo, cercando di costruirci un'esistenza autentica e originale, con pazienza e senza affrettata superficialità. Tre sono le parole d'ordine suggerite da Padre Ronchi ai suoi lettori: vedere, fermarsi, toccare. Aprire gli occhi per guardarsi attorno, meravigliandosi di tutto; fermarsi a riflettere e a contemplare; toccare chi ci sta vicino, anche l'intoccabile. E abbracciare l'infinito, sentendosi parte creaturale dell'universo, e alimentando cuore e cervello quando li sentiamo disidratati, rinsecchiti. Non ridursi ad accettare la realtà per quello che è, ma sognare ciò che essa può diventare. Con questa importante raccomandazione: «Le cose esterne fanno rumore e danno fastidio, ma sono fuori, e soltanto io posso aprire la porta e dire a uno: sì, tu entra e occupa spazio in me, e a un altro invece: no, tu resta fuori, so che mi farai un po' di male e graffierai sulla mia vita, ma tu non siederai sul trono del mio cuore».
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