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Anno edizione: 2001
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E' il racconto di un viaggio compiuto duemila anni fa e, come tutti i viaggi, è ricco di incontri inaspettati, di incidenti, di momenti di noia, di sorprese e scoperte. Tali vicende, così distanti dalle questioni contemporanee, sono narrate con molta attenzione. E' per questo che quando si legge di un sentiero sulla costa tirrenica, l'odore del mare, misto a quello delle ginestre della macchia mediterranea, penetra subito nelle nostre narici, anche se siamo nelle praterie del Kansas. Di tutti i libri di Vassalli questo credo sia il più puro. Con la sua maestria nell'elevare simili argomenti, ha (quasi del tutto) svelato ai suoi lettori ciò che è stato l'incontro di due popoli che per secoli hanno abitato lo stesso spazio: quello della penisola italiana.
"Un infinito numero" di Sebastiano Vassalli è un ottimo romanzo di ambientazione storica, molto riflessivo e che dà tanti spunti per pensare. Mai banale, si legge tutto d'un fiato essendo anche relativamente breve. Ho l'impressione che sia fortemente sottovalutato dal pubblico. Ho trovato affinità con altri due romanzi forse un po' più impegnativi ma che mi sento di consigliare se è piaciuto questo: "Memorie di Adriano" di Marguerite Yourcenar e "Augustus" di John Williams
"Un infinito numero" è un libro di Sebastiano Vassalli. Mecenate, Virgilio ed il suo segretario Nicodemo si inoltrano nelle terre dell'Etruria per scoprire le origini di Roma: alla fine comprendono che il tempo è un cappio mortale e la scrittura menzogna. Vassalli è stato definito un "Manzoni senza la Provvidenza", ma "Un infinito numero" non è romanzo storico, poiché della storia l'autore raccoglie solo qualche frammento per costruire una parabola metafisica sul nulla. Il Nostro è fondamentalmente autore nichilista: d'altronde gli stessi "Promessi sposi" - cui si richiama spesso lo scrittore genovese - se vi sradica Dio, sono un'opera mortuaria e desolata. Libro dunque tetro, eppure non privo di fascino, nell'apertura di alcune pagine verso il mistero del cosmo, nel disegno di una cultura, quella etrusca, popolata di ombre, ma pure amante dei piaceri della vita. Nell'epilogo l'io narrante, il greco Nicodemo, emerso dalle nebbie del passato, passa il testimone all'autore (ed a noi) per consegnargli la sua amara saggezza, la sua deserta verità.
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