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Capolavoro assoluto, sconsigliato a chi cerca letture leggere e tradizionali. Splendida conclusione e vertice della Trilogia di Beckett. Da leggere e poi rileggere senza scoraggiarsi, ricominciare, se necessario, e lasciarsi trascinare dal flusso verbale che è tutto ciò che accade. Assurdamente splendido.
Io, Mahood, Worm...il Cerbero beckettiano che, uno e trino, scaraventa addosso al mondo la sua allucinata accusa in un delirio di deduzioni e controdeduzioni, in balìa di un potere opprimente e ineludibile, costretto alla prigionia del corpo e al solo riscatto della Voce, condannato alla solitudine e alla miseria umana. Beckett realizza così il suo personale seguito alla Metamorfosi kafkiana..."il guscio di mostro che mi racchiude": un vertice della letteratura novecentesca.
Recensioni
Scritto nel 1949, subito dopo En attendant Godot, il romanzo L’Innommable chiude la trilogia composta da Molloy e Malone meurt. Dal 1947 Beckett aveva iniziato a scrivere in francese, ovvero in quella che era divenuta la lingua della sua “resistenza”(...).
Beckett inizia con l’eliminare il nome proprio del protagonista o di chi per lui, minando così le basi fondanti del novel, il genere letterario nato con Robinson Crusoe e Moll Flanders. La spersonalizzazione è tale che la voce di chi parla deve subito ammettere di non sapere nulla di sé.
L’assunto dell’indicibilità delle cose, teorizzato a inizio Novecento da Hofmannsthal, Rilke e Wittgenstein, è portato da Beckett alle sue più estreme conseguenze, l’io narrante avverte infatti che avrà “da parlare di cose di cui non posso parlare”. È la voce di qualcuno che si trova in un luogo di costrizione, in una situazione di paura, di stasi forzata. È nudo, al buio, privo di orientamento. Passa il tempo ascoltando rumori.
(...) La voce che parla usa le forme del linguaggio umano, modi di dire, pone domande retoriche, fino a quando si auto-nega anche questa figura linguistica. Tanto nessuno risponde... Eppure, l’abitudine, la di-speranza di poter avere un riscontro, fanno sì che – una volta spariti anche i punti interrogativi – egli seguiti a interrogarsi, fino alla fine. (...). Tutto è ancora una volta detto, ripetuto e negato, per occuparsi poi forse di Worm, un’involuzione invertebrata di sé che non può cessare almeno di tentar di capire, e che nell’ultima parte del testo s’abbandonerà ad una digressione a mala pena ancorata a qualche segno di punteggiatura. Aboliti gli “a capo”, al lettore non è data requie neanche tipograficamente (...).
Qua e là appaiono però delle confessioni, forse chi parla era tornato a casa solo per uccidere la madre, forse era morto in guerra o di crepacuore per gelosia, forse ha spaccato la testa a qualcuno con la sua mazza ancora macchiata di sangue. L’unica sicurezza è che deve comunque andare avanti. Una, o più colpe vanno espiate. La sua condanna è a dover continuare, continuare, continuare. Einaudi propone l’ormai classica, impeccabile traduzione di Aldo Tagliaferro del 1996 corredandola, come per i precedenti titoli della trilogia e altri testi di Beckett in catalogo, da una preziosissima introduzione di Gabriele Frasca. (...).
Recensione di Elisabetta d’Erme
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