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Questa volta Amelio ha creato un personaggio interpretato da Albanese (bravissimo) ma volutamente avulso da ogni realtà, e totalmente privo di credibilità, il film sembra fatto più per se stesso che per gli spettatori.
L’intrepido, a cui il regista Gianni Amelio si è ispirato nel 2013 per dare il titolo all’omonimo film, fa pensare a una rivista di fumetti degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, in cui erano illustrate le storie di eroi comuni e meno comuni; ma rievoca anche gli eroi di guerra, quelli che avevano sempre l’ultima parola, anche in punto di morte. L’intrepido di Gianni Amelio, dotato sul set della straordinaria mimica di Antonio Albanese, non ci parla tuttavia di eroi in tempo di guerra, semmai racconta di eroi in tempo di vuoto. È la vicenda del protagonista, Antonio, che di mestiere fa il rimpiazzo: sostituisce temporaneamente persone che, per un motivo o un altro, non possono essere presenti al loro posto di lavoro (qualsiasi lavoro), perciò ne indossa gli abiti, ne acquisisce la personalità, talvolta assume persino le loro sembianze. Dunque, si carica del peso della vita di altre persone, diventa il corpo di un’altra persona e per uno così, il cui cognome fa Pane (semplice, buono e genuino), considerando che la sua vita è una vera e propria consacrazione, la conversione del pane onomastico in Pane Eucaristico è la più coerente e al contempo inattesa delle conclusioni. Antonio, con dignità, nella sua miseria, si occupa delle miserie degli altri, è il buon samaritano che soccorre chi è nel bisogno. Antonio (di)mostra la dimensione teologale della (sua) vita, a dispetto di quanto nel film esprime Lucia: «Se il mondo fosse popolato da persone come te non ci sarebbe più speranza». Nell’ultimo rimpiazzo Antonio sostituirà Ivo, suo figlio, ne reggerà il peso in alcune sue gravose difficoltà (quasi caricandosene vicariamente la croce sulle proprie spalle), effonderà su di lui il respiro. E in questa sequenza, leggera e potente al contempo, si delineano i tratti dell’icona rublioviana della Trinità.
Altre delusione per me questo film di Amelio, subito dopo "Il primo uomo". Il film nasce da un'idea originale e attualissima e parte bene, in maniera coinvolgente. Ma sembra appunto diviso in due: la seconda parte risente di una sceneggiatura quasi inesistente, i personaggi si muovono a caso, non c'è più una storia, un movente a tirare le fila, e il film diventa didascalico e stucchevole. La recitazione di Albanese diventa posticcia e teatrale, ancor di più quella del personaggio di suo figlio, giovane artista in crisi esistenziale (un personaggio per me irritante e cocciutamente stupido). Amelio vuol far sentire la propria perizia registica, forse per ovviare ad una trama inconsistente. Personalmente non riesco più a vedere un film in cui si ammicca allo spettatore (nel finale poi, peggio che peggio!) e in cui ci propinano una dissolvenza a vortice.
Recensioni
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Amelio ci ricorda quanto sia indispensabile non rinchiudersi nel pessimismo
Trama
Antonio Pane vive a Milano e ha un lavoro particolare: fa il 'rimpiazzo' cioè sostituisce gli assenti in qualsiasi tipo di attività; un giorno può essere muratore, in quello successivo tramviere e così via. Antonio è un uomo fondamentalmente solo: la moglie lo ha lasciato per unirsi a un uomo dalle fortune decisamente più certe e il figlio studia sassofono contralto al Conservatorio e cerca in qualche modo di aiutare il genitore. Un giorno, a un esame di Stato, Antonio conosce una giovane donna, Lucia, a cui offre un aiuto disinteressato.
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