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E' d'uopo un distinguo tra Derrida come filosofo in se' e per se' e il libro di Ferraris in quanto introduzione al medesimo. Io sto ancora piu' con Foucault e con Habermas su alcuni punti, ma riconosco a Ferraris una proprieta' esplicativa e una profondita' argomentativa rare.
Mi sono laureato in filosofia con una tesi su Jacques Derrida. Ho letto l’Introduzione a Derrida di Maurizio Ferraris, che considero uno dei maggiori conoscitori di Derrida in Italia. Questo libro, come altri libri di Ferraris, ha il pregio di offrire una trattazione chiara, ampia e articolata della complessa tematica che affronta con grande competenza. Esso può sicuramente essere d’aiuto a coloro che si accingono ad affrontare la lettura dei testi derridiani (che non sono di facile accesso) o che semplicemente vogliono farsi un’idea delle questioni che vi si trattano. Ho anche particolarmente apprezzato l’impegno di Ferraris nel mettere in rapporto le analisi derridiane coi contributi di altri grandi pensatori (Leibniz, Kant, Hegel, Nietzsche, Husserl, Heidegger, Freud e altri) e nel far uso di molti esempi che rendono intuitiva l’esposizione. (Sentenze sommarie da parte dei detrattori – il più delle volte emesse sulla base di argomentazioni assai migliori di quelle del commentatore del 26-08-2004, che al libro di Ferraris dà un voto e lo riconduce a tutt’altro – hanno accompagnato l’attività di Derrida. Documentati e più noti sono ad esempio gli scambi di battute, più o meno polemici, con Habermas, Foucaoult, Searle, Ricoeur, Gadamer. Le repliche di Derrida sono sempre state molto istruttive e in alcuni casi hanno fatto sì che le obiezioni rivoltegli, perché valide in linea di principio ma mal impiegate di fatto, si ritorcessero contro i critici e ne mettessero in luce l’atteggiamento prevenuto.)
Ferraris avra' anche detto delle sciocchezze enormi su Dante, ma il pensiero di Derrida lo spiega bene.
Recensioni
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L'obiettivo che Ferraris si prefigge con questa sua perspicua Introduzione a Derrida è quello di ricostruire la parabola di una pratica filosofica ancora in corso, senza rinunciare, tuttavia, a esporne i pregi e i limiti in una dimensione che non vuole essere soltanto storica ma sostanzialmente teoretica. L'esperienza filosofica di Derrida, infatti, viene ricostruita con dovizia di particolari (anche biografici: si veda al riguardo la sezione dedicata ai suoi "compagni di Scuola Normale" e ai maestri di quel periodo che risultano essere personaggi della statura di un Althusser, di un de Gandillac o di un Foucault di poco più vecchio di lui). Ma altrettanto interesse viene dimostrato per le tesi filosofiche del filosofo francese che appaiono teoricamente più rilevanti: la decostruzione all'epoca degli interessi husserliani, la différance al centro della riflessione successiva che culmina con il saggio sulla "disseminazione", il nuovo livello di ricerca rappresentato dalla sua analisi dell'autobiografia come genere prettamente filosofico (e si potrebbe continuare).
L'utile volumetto di Ferraris permette quindi di entrare nella complessa dimensione in cui opera Derrida attraverso la via regia della ricostruzione teoretica: il suo pensiero, infatti, viene analizzato attraverso la serie delle svolte teoriche che l'hanno contraddistinto nel corso del tempo. Il primo snodo della ricerca di Derrida riguarda la sua discussione del pensiero di Husserl; la riflessione fenomenologica sul trascendentale è al centro delle sue opere del primo periodo: in particolare il problema della "decostruzione" che "come Derrida non cessa di ripetere, appare al tempo stesso come una costruzione, ossia, in un altro vocabolario, come una filosofia trascendentale: una volta che abbiamo analizzato l'esperienza esibendone le strutture necessarie (decostruzione), abbiamo anche fatto emergere l'apriori celato nel mondo (costruzione)".
Nel 1968, invece, con la sua ben nota conferenza sulla différance, propone una nuova lettura di un termine-chiave della storia della filosofia occidentale: "La differenza - scrive Ferraris - è dunque sia il fatto che due cose siano diverse, sia lÆatto del rinvio temporale; nel primo caso è una forma nominale, un sostantivo, nel secondo una forma verbale. L'assunto dialettico di Derrida è che il fatto sia l'esito dell'atto, ossia che ciò che si presenta come la differenza tra due cose (...) costituisca l'esito della differenza (come differre), cioè di un movimento temporale che ha fatto sì che, da una radice comune, sortissero due esiti diversi". Da questa dichiarazione di Derrida scaturiranno sia la possibilità di operare filosoficamente il superamento delle dicotomie tradizionali (materia/forma, voce/scrittura, natura/tecnica, ecc.) sia una nuova concezione del soggetto della teoria.
Ulteriori riflessioni su questo punto avverranno nel corso della sua riflessione sull'autobiografia. In questo modo, Derrida compie una "transizione verso un'etica fatta di entità problematiche, che forse ci sono e forse no (...) Con il dono e il perdono, così come con l'amicizia e l'ospitalità, abbiamo a che fare con degli oggetti che non solo risultano ontologicamente problematici (sono degli eventi, dei performativi, non degli enti solidi e presenti), ma soprattutto appaiono eticamente ambigui".
Nonostante il carattere "didattico" del testo (nel senso più "produttivo" del termine), il libro sonda in diverse direzioni il terreno epistemico della ricerca della verità e conclude con una cauta dichiarazione d'intenti: "La testimonianza raccoglie il nocciolo della teoria derridiana della verità: è la verità espressa da un individuo rispetto a qualcosa, ma in modo tale che il ruolo dell'individuo sia di primaria importanza".
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