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MAUPASSANT, GUY DE, Tutte le novelle, Mondadori, 1993
LONGHI, MARIA GIULIA, Introduzione a Maupassant, Laterza, 1994
recensione di Teroni, S., L'Indice 1995, n. 3
Durante l'estate del 1941 Paul Morand scrisse nello stesso stile serrato e tagliente delle sue novelle una "Vie de Guy de Maupassant", edita da Flammarion l'anno successivo. È un vero peccato che questa singolare biografia felicemente intessuta di quadri narrativi, affreschi di ambienti letterari e mondani, intermezzi dialogici, sia oggi pressoché introvabile. L'incontro tra i due scrittori e i due personaggi è infatti di grande interesse non foss'altro per la paradossale ammirazione con cui l'amico intimo di Proust, diventato celebre nei primi anni venti con due raccolte di novelle ("Ouvert la nuit", 1922, e "Fermé la nuit", 1923), viaggiatore insaziabile, diplomatico mondanissimo e snob, discretamente antisemita, collaboratore proprio in quei mesi del governo di Vichy, guarda il "taurino" normanno, la sua passione della vita all'aria aperta e della performance sportiva, il suo anticonformismo pur nella sfacciata e borghese ambizione di scalata sociale e di ricchezze, il suo atteggiamento irridente del revanchismo post-Sédan, il suo lungo, doloroso faccia a faccia con la morte e con la follia. Molti anni dopo, ormai ottuagenario, tracciando una sorta di bilancio (nel "Tableau de la littérature franèaise", 1974) di ciò che "il Courbet del racconto e della novella" aveva rappresentato per lui e per la sua generazione, Morand avrebbe dichiarato che Maupassant era stato il loro Hemingway "con quella stessa fine di animale triste". Ma già la biografia del 1941 riconosceva a Maupassant un ritmo vicino ai tempi nostri; "un ritmo che nel 1880 era nuovo": l'autore di "L'homme pressé" univa l'omaggio a "un uomo vero" all'ammirazione per il maestro della novella, a cui del resto attinse direttamente con veri e propri rifacimenti.
Il 1880 fu un anno importante per Maupassant, almeno quanto lo era stato il 1870, quando era partito per combattere i prussiani e si era trovato irreversibilmente segnato dall'orrore della guerra, dallo sdegno per l'imbarbarimento che essa aveva rivelato e prodotto. Fu rievocando quegli eventi e quel clima che riuscì a superare la grande difficoltà di trovare la nota giusta, quello che in musica si chiama il tono, e a realizzare, con "Boule de suif", il suo primo capolavoro. Da allora - aveva trent'anni - visse della penna, pubblicando in dieci anni trecento novelle, oltre a circa duecento "chroniques", sei romanzi e tre resoconti di viaggi. Da allora il suo successo editoriale non ha conosciuto battute d'arresto nonostante i periodi in cui la critica non fu n‚ favorevole n‚ serena: a cent'anni dalla morte, le statistiche lo danno ancora come lo scrittore francese più letto e amato nel mondo. E il centenario ha offerto l'occasione per nuove riprese e iniziative editoriali dalla corrispondenza con Flaubert (Flammarion) alla riedizione in tre volumi delle finora introvabili "Chroniques" (10/18), alla pubblicazione del manoscritto, con trascrizione diplomatica a fronte, di "Le Horla" a cura di Yves Leclerc nella nuova, bellissima collana "Manuscrits" creata dall'Item-Cnrs con le edizioni Zulma.
In Italia, dove dal 1980 a oggi sono state contate settanta edizioni, il posto d'onore spetta giustamente ai racconti e alle novelle, di cui Mondadori presenta l'edizione integrale nei "Meridiani" (il secondo volume è annunciato per il 1996), curata da Mario Picchi, già collaudato ed eccellente traduttore di Maupassant. Nell'ordinamento cronologico dei testi così come nell'impostazione generale, l'edizione riprende (con l'aggiunta di un racconto, "L'Oriente", già incluso nell'edizione Conard) il primo volume della francese "Bibliotheque de la Pleiade", ottimamente curato da Louis Forestier (1974-79), ma ne alleggerisce l'apparato critico.
Gli effetti devastanti della guerra sulla vita della piccola gente, i viaggi in treno e in diligenza, le rive della Senna e le scogliere sull'Atlantico, gli ampi paesaggi normanni, le scene di caccia, gli interni piccolo-borghesi e le disavventure degli impiegati e tutta una galleria di gaudenti giovanotti, di pescatori pensosi sulle rive del fiume o sballottati su barche ondeggianti, 'femmes galantes', generose prostitute, ridicole bottegaie, patetiche mogliettine, innocenti ragazze di campagna, bambinelli smarriti, bastardi umiliati: ritagliate con gesto sicuro, le immagini prodotte dai racconti di Maupassant si imprimono nella nostra mente col bagliore delle istantanee, consonanti con una percezione del mondo in frammentazione. Un mondo solare e minaccioso insieme: su queste schegge del quotidiano incombono gli accidenti, i malintesi, i gesti maldestri che stravolgono una vita; o i segni di inquietanti presenze: una mano scorticata, un cadavere che affiora sull'acqua, un'ombra, un respiro, quanto basta a far vacillare ogni certezza.
La capacità impressiva di queste immagini è il risultato di un'arte sapiente nella trasfigurazione di esperienze, drammi, fantasie e fantasmi. Il poeta voluto dalla madre e scoraggiato da Flaubert, il drammaturgo fallito, il giornalista costretto a guardare l'attualità contando le parole, l'aspirante paesaggista concorrono tutti a organizzare un tessuto che non ha sgranature. L'acclamata maestria descrittiva con estrema economia di parole, la capacità di realizzare quadri di grande suggestione visiva e sonora trovano un felice complemento nel rigore della composizione. Tutto è giocato su simmetrie, riprese e rovesciamenti, entrate e uscite, dialoghi essenziali, accurate ripartizioni spazio-temporali, audaci squarci di un lirismo pittorico in un caleidoscopio di figurine abbozzate, gesti ritagliati, tic linguistici, macchie di colore. Ossessionato dalla dualità, Maupassant ne fa la sua cifra stilistica, mentre spinge l'osservazione fino a vedere l'altra faccia delle cose, la faccia "sinistra". La problematica dell'identità e del suo correlato, l'alienazione, percorre tutta la sua opera, dalla satira di costume ai racconti fantastici, come problematica del soggetto di una società massificata, di una civiltà costruita sull'ipocrisia e sulla rimozione; ma anche, e innanzitutto, come problematica dello scrittore che per esser tale deve trovare la sua nota giusta.
A questo universo immaginario e narrativo, e alle molteplici linee interpretative di cui è oggetto, ci introduce con garbo, chiarezza e rigore l'agile monografia di Maria Giulia Longhi, preziosa anche per l'aggiornatissima bibliografia e per lo spazio specifico riservato, con grande equilibrio, al dibattito critico.
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