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Investire in conoscenza. Per la crescita economica - Ignazio Visco - copertina
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Investire in conoscenza. Per la crescita economica

Descrizione


Al di là degli effetti, pesanti, della crisi finanziaria in corso, è da molti anni che il reddito degli italiani non cresce più. Tra le ragioni ve ne sono di antiche (i "lacci e lacciuoli" nell'amministrazione, l'insufficienza dei servizi privati e, in una parte non trascurabile del territorio nazionale, un ambiente socio-economico ostile e un basso capitale sociale) e di relativamente nuove (l'alto debito pubblico, il deterioramento delle infrastrutture, la stasi della produttività). Ma come si può far ripartire l'economia? Certo, è ancora necessario rimuovere i vincoli antichi, far funzionare meglio il mercato, favorire la crescita delle imprese. Ma occorre soprattutto prendere alto dei grandi fenomeni evolutivi che ci hanno trovato relativamente impreparati: la globalizzazione, la rivoluzione delle tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni, l'aumento progressivo della vita media e i nuovi flussi migratori dai paesi in via di sviluppo.
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Dettagli

2009
140 p., Brossura
9788815130969

Voce della critica

Ignazio Visco è un economista, vice direttore della Banca d'Italia. In questo libro raccoglie alcuni saggi in cui affronta la questione del rapporto tra conoscenza, sistema scolastico e universitario, e crescita economica. Nei sistemi sociali e tecnologici attuali, la cultura delle persone è probabilmente la caratteristica più importante per creare ricchezza. Il capitale umano è definito dalle abilità, dal patrimonio di conoscenze, dalla capacità di ragionare, raccogliere e impiegare informazioni, comunicare e utilizzare tecnologie avanzate. Tutti questi aspetti determinano una crescita della produttività del lavoro: una persona con maggiore cultura produce di più, insegna ai suoi colleghi a lavorare meglio e impiega meglio gli strumenti a disposizione. Le conoscenze in esame dovrebbero essere trasmesse dal sistema educativo.
Proprio qui emergono i limiti della realtà educativa italiana, poco capace di sviluppare il capitale umano. Nelle comparazioni internazionali (indagine Pisa), i nostri studenti ottengono risultati peggiori rispetto ai coetanei di quasi tutti gli altri paesi più ricchi. Visco punta l'attenzione su una delle possibili cause: la mancata valorizzazione del merito. La scuola italiana non è in grado di premiare chi è degno e selezionare i migliori. Non esistono, infatti, strumenti che permettano di valutare e comparare le competenze sviluppate dagli studenti di scuole diverse. In mancanza di un indicatore di questo tipo, non è possibile la concorrenza tra gli istituti, con effetti negativi sulla loro didattica. Le imprese non possono fidarsi delle valutazioni fornite dal sistema formativo, in quanto il voto ha perso la capacità di discriminare tra le persone ed è un indicatore poco oggettivo. In virtù di questa situazione, i canali più rilevanti per formare le persone rimangono le famiglie; chi nasce in ambienti colti e benestanti è così avvantaggiato. Le imprese selezionano in base a criteri differenti dal titolo di studio e dal voto. Diploma e (soprattutto) laurea hanno così una minore capacità di garantire un (buon) lavoro e uno stipendio più elevato. L'investimento in formazione è poco utile e quindi le persone non hanno lo stimolo (economico) studiare. Ne risulta un circolo vizioso, in cui l'economia non può crescere e rimane intrappolata in settori che necessitano di minori competenze.
Il libro, in alcune parti piuttosto tecnico e specifico, altrove comprensibile anche a un pubblico più vasto, rappresenta una lettura stimolante. La prospettiva proposta è quella tipica dell'economia: le persone rispondono razionalmente a incentivi materiali. La ricchezza è il fine ultimo degli individui e dei sistemi. In questa prospettiva, le persone sono capitale umano, espressione che probabilmente non piacerebbe alla filosofa Michela Marzano, che in questo libro denuncia il linguaggio manageriale che trasforma gli individui in oggetti utili alle imprese e non le vede in quanto fini. Forse l'auspicabile sviluppo della conoscenza può servire anche a comprendere questa idea, integrando l'approccio economico con altre istanze.
Marco Novarese

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