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Pasolini è stato forse l’ultimo intellettuale “vivo” e attivo sullo scenario italiano del secondo Novecento. La sua vita “violenta” e trasgressiva, le sue posizioni – culturali e politiche – sicuramente non allineate, costruttivamente polemiche verso il potere e il sapere ufficiali, la stessa drammatica morte, ne hanno fatto un personaggio scomodo, ancor oggi guardato da molti con sospetto. I tre saggi in cui si articola questo volume illustrano aspetti diversi e, insieme, costanti della pratica letteraria di Pasolini. Studiato sia come traduttore del teatro greco e latino, sia come critico implacabile delle forme della società contemporanea, Pasolini rivela la continuità di una funzione intellettuale invariabile, fondata sul “coraggio della verità” e sulla pratica sistematica del dissenso. La medesima tensione morale che lo porta a leggere nel teatro antico l’immagine di un conflitto tra civiltà opposte, divise tra barbarie e ragione, si esprime in modi ancora più visibili attraverso gli interventi “corsari” o, anche, l’intera produzione poetica. Nella impietosa e conclusiva analisi della società di massa, in cui l’idoleggiamento della vitalità popolare si rovescia in un’abiura addolorata ed estrema, domina sempre più irreparabilmente «il senso di un disgusto totale, di un’impotenza e di una solitudine ormai irrimediabili», all’ombra di un sentimento crescente di morte. Nemico di un mondo degradato e volgare, Pasolini incarna così il modello di ogni intellettuale autenticamente politico: antagonista del proprio tempo e inattuale rispetto alla storia che egli vive. Queste pagine, dense di pathos e di “amore” per il poeta friulano, escono purtroppo postume e costituiscono l’ultima, alta testimonianza dell’umanità e della dottrina di Vittorio Russo, improvvisamente e immaturamente scomparso mentre il libro era in bozze.
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