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C'è una dichiarazione di Sciascia, ricavabile da La Sicilia e il cinema (1963), che può davvero fungere da introibo al viaggio in Sicilia nel quale Gianni Bonina, giornalista cinquantatreenne che vive e lavora a Catania, dove ha fondato e dirige "Stilos", ci guida con questo libro: "Vittorini, Brancati, e Quasimodo offrirono, più o meno, i tre diversi temi siciliani al cinema. La Sicilia come 'mondo offeso'; la Sicilia come teatro della commedia erotica; la Sicilia come luogo di bellezza e di verità. Quest'ultimo tema è stato, per così dire, il più sfortunato: appunto perché il più arduo da rendere, da articolare, da motivare al di fuori della condizione e grazia della poesia". Se il lettore vorrà seguire, passo dopo passo, un itinerario che da Alicudi giunge fino a Marsala, non tarderà a riconoscere la duplice intenzione dell'autore, l'arduo compito di mettere in luce bellezza e verità dell'isola "ammaliante e ominosa", di quella Sicilia che è "luce e lutto", per dirla con Bufalino.
La bellezza è dappertutto: nei paesi come Roccafiorita, dove la vetta della montagna sostiene il cielo e la brezza marina entra nelle finestre lasciando "un suono buono come un odore di pane di casa"; nelle trazzere perdute, nei campanili di Casalvecchio Siculo, nelle case, nei volti. Ma se un tempo la Sicilia aspirava a rimanere un mondo senza fenditure, senza comunicazioni con l'esterno, esaudito dalla sua pienezza e bellezza, dalle sue buie e segrete radici se è vero, insomma, che a un Ulisse, nella considerazione popolare, veniva preferito Polifemo, il ribelle che non vuole stranieri nella propria terra , ora si apre irrimediabilmente all'altro da sé. Una bellezza da condividere, dunque, a malincuore. Sicché: Alicudi, isola popolata da animali, ha la sua Eva Maria Stark, donna tedesca che ha munito la propria casa di un pannello solare, una fata che da molti è considerata una strega; il Simeto, dov'è forte il verso delle poiane e il profumo di ginestre, terra di magie e di influssi astrali, accoglie sulle sue sponde la naturalista di Brema Stephanie Hermsen; Canicattì ha le sue rumene, polacche e albanesi, più di mille, e belle, "più belle dell'uva Italia per la quale i Canicattesi una volta perdevano la testa", e che sono la rovina delle unioni coniugali; donne scandinave arrivano di continuo a Corleone a cercar marito dopo il servizio entusiastico di una giornalista danese; Motta Sant'Anastasia ha Sigonella, base militare americana.
Curioso sapere, poi, che i soldati americani arrivati a Motta partecipano a un corso di preparazione alla vita siciliana. Per le soldatesse un avvertimento speciale: "I Siciliani vi faranno per strada un sacco di complimenti solo per portarvi a letto; non vi impressionate e non vi offendete: fanno sempre così". Ma al primo posto della sicilian live figura l'educazione stradale: "I Siciliani sorpassano a destra e suonano ai semafori, vi stanno attaccati al cofano e non usano le frecce. Massima allerta". Una sorta di vademecum che riporta alla memoria quei famosi e più antichi Avvertimenti a Marco Antonio Colonna quando andò viceré in Sicilia di Scipio Castro, databili alla seconda metà del secolo XVI, su cui Sciascia, per allestire la sua categoria di "sicilitudine", ha tanto almanaccato. Peccato però che, in quasi tutti gli incidenti stradali, siano coinvolti automezzi americani.
Percorrere la Sicilia, per Bonina, significa oltrepassare un confine a ogni chilometro, passare da un dialetto all'altro, da mentalità a mentalità. Ecco perché raccontare la Sicilia come entità indivisibile, così come provò Vittorini, con Le città del mondo, è impresa impossibile. Se un'unità è ravvisabile, se si vuole trovare una profonda radice comune in un'isola che si distingue per la multanimità dei suoi abitanti, questa sarà da ricercare nelle mappe disegnate da coloro che ne hanno scritto, in una letteratura dalla qualità ben riconoscibile che ha sempre mantenuto un dialogo proficuo con i suoi interpreti, anche se lontani, come quel Borgese il quale, allontanandosi dalla Trinacria per l'esilio americano, continua a portarsi quest'isola nel cuore. L'Isola è invece una realtà che non ha bisogno di avere un'identità. Le sue verità sono così complesse, sottili e contraddittorie, e oltremodo suggestive, da sottrarsi a qualsivoglia condanna morale. Così a Scicli gli uomini provano rabbia anche quando fanno l'amore; gli Arcudari sono selvaggi, non hanno regole, se devono uccidere un animale lo fanno "con la facilità con cui si risale una mulattiera", trattano male anche i bambini ma non maltrattano i serpenti, perché credono di trovarsi davanti alle anime dei compaesani in purgatorio; Corleone ha in odio la mafia quanto la tiene in serbo; a Riesi, il paese dove il bianco è nero, è verità condivisa che l'autorità sia un potere imposto, mentre il potere un'autorità accettata.
La verità, insomma, è un'impostura, come nel Consiglio d'Egitto di Leonardo Sciascia. La verità è, come nel Sorriso dell'ignoto marinaio di Vincenzo Consolo, un flusso di parole strozzate che risale tortuosamente le volute anguste e pitagoriche d'una chiocciola di Mandralisca.
Cristina Cossu
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