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Leggere Scerbanenco non è mai scontato ed è pieno di tante sfaccettature che rendono la lettura intrigante. Anche questa lettura lo è anche se la location, l'isola,, lo rende forse un pelo statico, tutto si svolge lì se non poche uscite. Per indagare l'animo umano Scerbanenco è sempre attuale! Consigliato!
Ottima tensione narrativa, personaggi ben costruiti, finale non scontato per uno Scerbanenco d'annata
Se apprezzate gli Harmony è perfetto...
Recensioni
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Tra il 1942 e il 1943, mentre Georges Simenon dalla Francia medita di fuggire negli Stati Uniti e Friedrich Dürrenmatt esordisce a teatro, il nostro Giorgio Scerbanenco soggiorna per qualche tempo in un albergo di Iseo, in attesa di rifugiarsi in Svizzera. Sono anni turbolenti per gli scrittori europei, anni in cui molte idee vengono messe alla berlina e molte abilità vengono sfruttate mossi dal bisogno o dalla paura.
Il parallelismo tra Simenon e Scerbanenco, sia per l’intensità con cui hanno prodotto tanta letteratura, sia per le modalità di ingaggio, diciamo così, quasi professionistico da parte dell’industria culturale, è ormai abbastanza noto ai lettori. I noir di Scerbanenco, ambientati in una Milano popolare e operaia, ricordano per molti versi l’opera di Simenon. Il fatto che anche Scerbanenco abbia scritto moltissimo e spesso sotto pseudonimo, su riviste femminili o romanzi a puntate è il secondo tratto distintivo che li rende in qualche modo omologhi.
Tuttavia la trasfigurazione operata dagli editori italiani sull’immagine di George Simenon, e sul nostro immaginario, non si può dire che abbia ancora sfiorato l’opera di Giorgio Scerbanenco, che esule e apolide era allora e tale è rimasto quasi irrimediabilmente in questi anni.
Dico quasi perché oggi sua figlia Cecilia sta faticosamente ricostruendo l’opera di suo padre, dispersa tra mille nom de plume, nel mare magno delle pubblicazioni periodiche italiane.
Tra le carte rocambolescamente recuperate spunta adesso un romanzo totalmente inedito, scritto appunto negli anni Quaranta. Si tratta di un romanzo, L’isola degli idealisti, commissionato probabilmente dal Corriere della Sera dopo il successo di altri due romanzi a puntate Cinque in bicicletta e Cinema tra le donne. Anche questo sarebbe dovuto uscire a puntate, se non fosse rimasto per tutti questi anni in un cassetto della seconda moglie dello scrittore, Teresa Bandini Scerbanenko.
Acerbo rispetto ai noir della maturità, scritti negli anni Sessanta, questo romanzo rivela la grandiosa capacità dell’autore di tratteggiare i personaggi e contemporaneamente la sua abilità nell’ideare degli arditi esperimenti sociali. La trama di questo romanzo eguaglia per audacia i testi di Dürrenmatt. Sull’isola del Ginestrin, che è praticamente uno spuntone di roccia in mezzo al lago, è situata la grande villa del dottore Reffi, abitata solo dal dottore, dai suoi figli e dai suoi più stretti collaboratori.
Un giorno, a turbare la quiete del simpatico e scettico dottore, di sua figlia Carla, scrittrice e sognatrice, e del figlio minore Celestino, un matematico dalla tagliente logica, arriva una coppia di ladri in fuga dal continente. Beatrice e Guido sono ladri d’albergo che, braccati dalla polizia, giungono sull’isola in cerca di un nascondiglio. Mentre Antonio li irride minacciandoli di consegnarli alla polizia e Carla offre loro protezione, il diabolico Celestino ha in mente un ardito esperimento sociale: vuole rieducarli. Solo dopo che i due avranno dimostrato di essere diventati delle persone oneste potranno andare via dall’isola.
Il plot narrativa fa invidia ai migliori telefilm dell’epoca, la prosa è semplice ma incisiva. Scerbanenco lascia al lettore italiano un’altissima prova di scrittura che a tratti trascende la pura e semplice letteratura d’evasione per toccare dei temi etici e sociali importanti, soprattutto per l’epoca. Un approccio alternativo a un autore imprescindibile nella storia della letteratura italiana.
Recensione di Annalisa Veraldi
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