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VERNE, JULES, Ventimila leghe sotto i mari (vol.II)
VERNE, JULES, L'isola misteriosa (vol.III)
VERNE, JULES, I figli del capitano Grant (vol.I)
recensione di Bertini, M., L'Indice 1996, n. 4
Senza precedenti per la ricchezza dell'apparato di note che accompagna una traduzione elegantissima, questa preziosa edizione della "trilogia del capitano Nemo" offre al lettore italiano un'occasione eccellente per riavvicinarsi a un'opera che troppo spesso è giunta sino a lui soltanto impieto-samente scorciata, mutilata da drastici colpi di forbici intesi a eliminare ogni digressione enciclopedica, ogni excursus storico-geografico, ogni enumerazione sospetta di ottocentesca pedanteria.In realtà, l'incanto più sottile e coinvolgente della narrazione verniana sta proprio nel continuo alternarsi di voci narrative che hanno tempi diversi: il lettore, ora arrancante in salita sul versante di un'arida nomenclatura, ora precipitato invece a folle velocità di peripezia in peripezia, sperimenta l'esatto equivalente letterario di un viaggio sul più spericolato degli ottovolanti.Cancellare da questo viaggio i tempi morti del rallentamento, dell'ascesa faticosa, equivale a privare d'ogni fascino anche il momento vertiginoso della discesa: l'avventura affidata, nelle edizioni ridotte, a una rapida narrazione uniforme, si affloscia tristemente, perde quota, precipita come la colomba citata da Kant, cui solo la resistenza dell'aria, che in apparenza pareva ostacolarla, consentiva in realtà di volare.
In questa edizione integrale accuratissima, l'avventura può invece spiccare il volo e sedurci lungamente, ora planando con calcolata lentezza, ora tuffandosi in picchiata sino a spezzarci il respiro.Il suo ritmo è il più riconoscibile suggello dell'arte verniana; il lettore bambino - cui tanti termini restano oscuri - vi si abbandona al pari dello scaltrito critico post-strutturalista, ed entrambi trovano, immersi in un testo inesauribile, la felicità di un'inesauribile esplorazione.Sarebbe d'altronde impossibile indicare, nel complesso dell'opera di Verne, un testo che sintetizzi, meglio di questa trilogia, tutte le più rilevanti sfaccettature dell'arte del romanzie-re: l'ha ben messo in rilievo, nella sua utilissima "Introduzione a Verne" (Laterza,1995), Bruno Traversetti.
Nel primo romanzo del ciclo, "I figli del capitano Grant", si dispiega il tema grandioso del viaggio intrapreso, tra mille ostacoli, attraverso i più vari sfondi geografici.Muovendo alla ricerca di un esploratore, il capitano Grant, le cui tracce sembrano sparire nel nulla, i protagonisti non possono non farsi esploratori a loro volta, e le loro drammatiche vicissitudini tra naufragi e tribù antropofaghe, fiumi in piena ed eruzioni vulcaniche, sembrano ripercorrere, riassumendola, l'epopea di tutte le esplorazioni che l'uomo occidentale ha tentato da secoli, nel suo sforzo di appropriazione del mondo intero. L'epopea potrebbe facilmente trapassare in retorica, in indigeribile apologia; se questo non avviene, è perché l'arte verniana cela un germe d'irrecuperabile bizzarria, di follia inconciliata che la contrappone radicalmente a ogni pedagogia della normalità.
Questo germe di bizzarria è rappresentato, nei "Figli del capitano Grant", dal crittogramma che mette in moto tutta l'azione del romanzo.Iprotagonisti muovono alla ricerca del capitano disperso sulla base di un documento, una richiesta d'aiuto che il naufrago ha chiusa in una bottiglia e gettata nell'oceano; ma l'acqua marina, cancellando buona parte del messaggio, l'ha trasformato, appunto, in una sorta di crittogramma, su cui deve esercitarsi la perspicacia dei soccorritori, trasformati dalla necessità in enigmisti.Sarà il geografo Paganel - che assomma in sé, sorta di ossimoro vivente, il massimo dell'attendibilità erudita e il massimo della distrazione possibile - a decifrare il problematico documento; ma tre successive interpretazioni, tutte egualmente plausibili, tutte egualmente errate, trascineranno di continente in continente gli eroi disorientati della diffici-le ricerca, sino a un improbabile successo finale, determinato non dall'abilità n‚ dalla dottrina di Paganel, ma, per un caso singolarissimo, proprio dalla sua incommensurabile distrazione.
Se il grano di follia che nell'intreccio del romanzo esorcizza ogni immagine convenzionale dell'eroismo non fosse a questo punto abbastanza visibile, Verne lo fa emergere nell'esilarante finale: nelle ultime pagine del romanzo, il geografoPaganel si aggira chiuso in una palandrana ben abbottonata e rifiuta ostinatamente di scoprire, fosse pure nelle giornate più torride, anche un solo centimetro del petto. Tanto inusitato pudore ha una spiegazione alquanto mortificante per lo scienziato che dovrebbe incarnare la dotta coscienza dell'Occidente civilizzatore: "Nei tre giorni di prigionia trascorsi presso i Maori Paganel era stato tatuato da capo a piedi e recava sul petto l'immagine araldica di un kiwi ad ali spiegate che gli beccava il cuore".Se dal mondo di Verne trarranno spunti surreali tanto Raymond Roussel quanto Georges Perec, è perché dietro una superficie di icone oleografiche supremamente edificanti si celano, come le fiamme di quei vulcani carissimi al romanziere, sulfurei giacimenti del più sofisticato humour noir.
"Ventimila leghe sotto i mari", dopo gli spazi aperti dei "Figli del capitano Grant", offre al lettore l'esperienza claustrofilica per eccellenza: dal ventre del Nautilus - "caverna adorabile" nella quale, ha scritto Roland Barthes, "la soddisfazione della reclusione raggiunge il parossismo" - contempliamo i fondali oceanici come gli scenari di uno smisurato diorama.A queste suggestioni contemplative succederà, nell'"Isola misteriosa", il dispiegarsi di un'attività frenetica: capeggiato, non a caso, da un ingegnere americano, un gruppetto di naufraghi ripercorrerà, su di un'isola ignorata dalle carte geografiche, il cammino della specie umana dalla preistoria alla tecnologia moderna, in un tripudio d'ingegnosità, di coraggio e di tenacia.
A scongiurare ogni tentazione realistica, veglia dal suo Nautilus sui protagonisti operosi il grande giustiziere, il capitano Nemo; e sullo sfondo, a rimuovere ogni facile ottimismo, un minaccioso vulcano si prepara a spazzar via, nell'apocalittico finale, tutto l'armonioso microcosmo delle loro laboriose realizzazioni.
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