Israele in bianco e nero

Parrebbe quasi un amarcord, scritto e recitato da una generazione che ha visto nascere qualcosa in cui non sempre riesce a riconoscersi, ora che la "creatura" è diventata adulta. Poiché l'elemento unitario di questo volume è lo sguardo che l'autore, insieme a due coetanei, osservatori di eccellenza, Arrigo Levi e Vittorio Dan Segre, offre di un paese, Israele, che è mutato profondamente negli ultimi quarant'anni. Russo compara continuamente, in una sorta di diario di viaggio che è anche un confronto con se stesso, quel che era l'immagine che aveva della "terra del latte e del miele" con lo stato odierno delle cose. Per esprimere un malcelato senso di insoddisfazione, quel sentimento irrisolto che si nutre verso un nipote che prometteva bene e che poi, alla resa dei conti, si è rivelato non troppo diverso dagli altri. Soprattutto, quel che promana da pagine di piacevole lettura (grazie alla penna giornalistica di indiscutibile vaglia dell'autore) è l'inesorabile senso di crepuscolarità che lo sguardo agrodolce sul presente ci offre a proposito della speranza nutrita nel passato. Molto ci pare vano, a distanza di tempo. Soprattutto a partire dal tardo Novecento, in buona sostanza, quando alla caduta degli angeli si accompagna la perdita della verginità. Russo fatica a riconoscerlo, ma è così. Ne esce fuori un Israele non ignoto a coloro che già ne conoscono le infinite pieghe, trattandosi di tutto fuorché di un paese fatto di linearità, ma senz'altro inedito a quanti, e speriamo siano molti, intendano avvicinarsi a esso con animo scevro da pregiudizi politici e, soprattutto, culturali. Lettura non banale, densa e un po' malinconica.
  Claudio Vercelli