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Malinconico e raffinato, leggero e intenso al tempo stesso, il racconto prende vita sulle e attraverso, fin quasi dentro le pagine stampate (quelle del libro che abbiamo tra le mani) e disegnate (quelle dei libri di testo per le quali la protagonista redige le istruzioni) in cui la sfumatura di colore predominante è quella grigioazzurra della carta e di un'esistenza per più versi a due dimensioni. "Istruzioni per il disegnatore" è un racconto che se da un lato svela il piccolo universo che si nasconde dietro a ciò che gli studenti di una lingua straniera trovano pronto per l'uso (il libro di testo) e spesso anche banale, dall'altro apre una riflessione più ampia sul nostro modo di vivere, sugli scarti tra la società presente e quella passata e le diverse difficoltà che appartengono a ciascuna, senza dare giudizi ma tentando di fornire mezzi di superamento del presente, sia nell'abbattimento delle barriere linguistiche sia sociali in un curioso susseguirsi di unità didattiche.
Istruzioni per il disegnatore, ovvero dare una direttiva, un metodo, ad un disegnatore, colui che rappresenta per eccellenza, che mette l’idea al centro, l’illusione, spesso… Ed il romanzo mostra il suo lato più vero, la sua decadenza di fondo, la sua crudezza sempre morbida e candida, come una fettina tenerissima di vitello, così graziosa, così fanciullesca, eppure il disegno vivente di una morte, di una separazione… Così gli schemi, le istruzioni, i personaggi dei manuali sono l’ovatta della realtà, della realtà sognata da Marguerite e Moustache, ma fin presto persa. Si son subito giocati l’illusione, come se essa fosse Atlantide, una terra d’oro perfetta da cui poi la discesa nella realtà quotidiana sospesa sul suo errare. Atlantide è prima, è una illusione archetipica, già venuta, e ristagna così, sospesa, in un futuro che non c’è, nella sua visibile invisibilità… L’attesa del passato già perso… La sospensione statica e non più e-statica… L’illusione dell’amore, il disincanto. Ecco, il decantato disincanto… Chi è disincantato sogna, è il più incallito sognatore, e Marguerite mantiene in sé il sogno, l’illusione. In un film, Chimera, Corsicato mette nella bocca della donna protagonista, verso il suo uomo, la frase Illudimi!, l’illusione dell’illudersi… Marguerite sa dell’illusione, ecco perché vive il disincanto, forse l’ha sempre saputo, ed in sé vive il paradosso più autentico, il desiderio dell’illusione… Moustache ha sognato invece, dando all’altra la responsabilità dell’illusione, regalandone l’ambiguo e sinistro dono dell’attesa, della morte, della separazione. L’autrice descrive i personaggi, lo sfondo, anzi li disegna… E lo fa con quell’asettica matita di un fanciullo che disegna per le prime volte, senza pathos immediato, senza mai calarsi davvero nella sua creazione. Per poi osservare compiaciuto la sua creatura. Per poi illudersi che essa sia magica, viva. Per disegnare anche le istruzioni…
Istruzioni per il Disegnatore si apre in una casa editrice, nella quale un uomo esiste tra la carta che invecchia, si chiude invece con un confronto impossibile tra lo stesso uomo e la donna che ha inutilmente inseguito e sfiancato per 76 dense pagine, che catturano il lettore con una scrittura nello stesso tempo incalzante e morbida. In mezzo la piccola storia e la grande Storia si intrecciano, il passato e il presente ci appaiono come due false pareti di un tempo zoppo, incapaci di sostenersi a vicenda. Il Novecento, il secolo che a fatica ci stiamo abituando a chiamare scorso, si affaccia con il suo carico di sofferenze collettive e le sue famiglie già così infelici prima della guerra, dopo di essa autorizzate a mostrare i segni della disfatta, della solitudine, della fuga. Più che il presente incerto e il passato senza misericordia, i personaggi del libro si muovono in una miope assenza di futuro, una tragica sottrazione del tempo, senza rimedio, se non la dolcezza di affidare al Disegnatore il compito di animare le pagine di una grammatica francese. Finalmente la scena si riempie di vita, quella fittizia delle storie di carta, con famiglie, dolori e gioie, giovani e vecchi, errori e fatalità. Solo lì ritroviamo quel tempo dimenticato, poiché: «Nei libri di scuola, quelli che educano gli uomini e le donne di domani, c’è posto per tutti. Nei libri di scuola esiste un futuro.» Il libro di Roberta Bergamaschi ci racconta, con garbo e una amarezza stemperata da una sottile ironia, una storia vera e di sogno allo stesso tempo e lo fa con la discrezione e la sobrietà di chi si muove senza incertezza tra le parole, affidando alla narrazione una speranza molto aleatoria. O per dirla con le parole ben altrimenti efficaci di Beckett. «Non si inventa nulla, si crede di inventare, di evadere, non si fa che balbettare la propria lezione, frammenti di un senso imparato e dimenticato, la vita senza lacrime, così come la si piange. E poi al diavolo.»
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