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Per una di quelle coincidenze che deliziano quanti credono alla razionalità della sorte, il libro di Aldo Schiavone mi è stato recapitato il giorno stesso in cui Berlusconi, con il corpo e con la voce, occupava gran parte dei canali audiovisivi del paese. Fatte tutte le debite mediazioni simboliche e metaforiche del caso, era difficile non provare un leggero senso di dissonanza cognitiva nel percepire contemporaneamente questa presenza e nel leggere (si legge tutto d'un fiato) un libro la cui tesi centrale in parte anticipata in interventi su "la Repubblica" è che Berlusconi e il berlusconismo hanno esaurito la loro missione storica, consistita nel traghettare l'Italia nella transizione dalla struttura sociale e politica novecentesca a quella contemporanea. "Berlusconi è stato perciò, in senso pieno, una figura uscita dalle contraddizioni del nostro Novecento, e sempre rimasta all'interno dell'orizzonte di quegli anni letteralmente, ormai, un uomo dell'altro secolo. (
) Ma è anche, credo, un capitolo della nostra storia che si sta chiudendo" perché "il ciclo economico e politico che aveva determinato il suo successo si è esaurito" e "Berlusconi è stato l'ultima incarnazione di quello che abbiamo definito l'eccezionalismo italiano del Novecento (
) la sua è una figura consegnata a una età di passaggio (
) che stiamo finalmente per abbandonare"..
Un autore che ha il coraggio di fare affermazioni così decisamente controintuitive può essere solo tre cose: o è una persona con straordinarie capacità di visione un visionario nel senso buono del termine che gli permettono di osservare segni che sfuggono ai più e che giustificano un azzardo concettuale quasi profetico; o è un intellettuale che si è assunto l'ingrato compito di un sovrumano whistling in the dark, per rincuorare il morale della sinistra nel momento più difficile; oppure ancora, più semplicemente, un serio studioso che, avendo individuato alcune variabili per spiegare la realtà che lo circonda, si fida della scelta e fonda il suo ragionamento sulle relazioni tra queste variabili, senza troppo farsi distrarre dalle apparenze.
Credo che Schiavone sia un poco tutte e tre le cose, ma soprattutto la terza: "Il leader della transizione italiana è diventato oggi il solo ostacolo al suo definitivo compimento. La normalizzazione della nostra politica non aspetta che la sua uscita di scena per potersi concludere. Un giudizio così netto è inevitabile se le cose stanno come abbiamo cercato di descriverle" (corsivo mio). Ricordiamo che, nella prima veste, da storico di ampia visione, Schiavone combinando sapientemente la sua competenza di intellettuale umanista con i temi della tecnica e della religione ha da poco pubblicato un libro importante (Storia e destino, Einaudi, 2007; cfr. "L'Indice", 2008, n. 7) in cui schizza un'efficace sinossi dell'evoluzione della specie umana dalle origini alle prospettive future, che vede positivamente basate su una rigenerazione biologica della specie. In questo nuovo lavoro è come se allungasse la lunghezza focale, applicando il medesimo modello evolutivo a un periodo più ristretto (circa mezzo secolo, anche qui concludendo con un messaggio di apertura e di speranza.
Nella sua veste di intellettuale organico alla sinistra e pensoso dei suoi destini, Schiavone ha sempre avuto un ruolo importante, mai venuto meno nonostante una delusione di fondo, che si riflette nella ricostruzione che egli ci dà delle vicende politiche italiane nel capitolo Venti anni dopo (dopo, va da sé, la caduta del muro di Berlino). In realtà, l'impegno di Schiavone nel Pci risale a una stagione, e cioè alla vicenda degli intellettuali comunisti (Cerroni, De Giovanni, Vacca, Schiavone stesso) che, sull'onda dei movimenti post-sessantotteschi, riponevano (ma non erano i soli) nel comunismo berlingueriano ed eurocomunista la speranza di un rinnovamento modernizzante dell'Italia, una sorta di socialdemocrazia radicale. Già allora si parlava di "transizione", ma in ben altro senso, e di "elementi di socialismo nello stato" (frasi, ahinoi, oggi usate come carburante per la propaganda berlusconiana. Per una ricostruzione tutta interna al comunismo italiano, del pathos di quel momento, vedi Alfredo Reichlin, La metamorfosi della sinistra ("I Quaderni", Editoriale del Ponte, 2009, n. 1). Poi il movimento, ma soprattutto quel movimento, si inceppò, e Schiavone, che aveva più familiarità, e influenza, con l'aristocrazia comunista degli Ingrao, dei Reichlin, dei Tortorella e di Napolitano che con i nuovi capi, fu particolarmente critico in I conti con il comunismo (Einaudi, 1999). È difficile non assentire quando leggiamo che "quel che risultava particolarmente penoso era il modo in cui il comunismo abbandonò la scena: uno sconcertante silenzio". "Modo che fu gravido di conseguenze". E la peggiore conseguenza fu senza dubbio la leva offerta all'anticomunismo di Berlusconi, reso virulento proprio dalla scomparsa dell'avversario. Spiega infatti Hannah Arendt che l'antisemitismo in Germania toccò l'apice molto dopo che gli ebrei avevano perso il loro peso e anche, integrandosi, buona parte della loro visibilità concreta. Ricordo benissimo (da non comunista) questo sconcerto, che mi ha spinto più volte, per celia, ma non poi tanto, a suggerire in quel periodo ai miei amici comunisti milanesi (Silvo Leonardi, Elio Quercioli, Roberto Vitali, tra gli altri) l'idea di una "marcia dell'orgoglio comunista", che restituisse fisicità a un fantasma, in quanto tale, troppo facilmente stigmatizzabile.
Sulle linee generali della ricostruzione è difficile non concordare: questa storia Schiavone la conosce bene e ce la ripropone con tratti da grande narratore, basandola sull'ipotesi più generale che, in questo periodo, la politica italiana non sia stata capace di tenere dietro alla trasformazione da quello che una volta si sarebbe chiamato "modo di produzione" industriale, a un diverso "modo" basato su una tecnologia innovativa, "la terza rivoluzione tecnologica della storia". Forse, se una critica s'ha da fare, è che si tratta di una ricostruzione eminentemente politica, che guarda ai principali attori, trascurando un aspetto importante di questa "disgregazione", che è la ricomposizione di altri attori che si aggregano, da un lato, attorno ai diritti civili, il movimento delle donne e quelli in difesa delle minoranze e, dall'altro, tutto il settore extrapolitico, ma centrale nell'economia e nella politica italiana, della criminalità organizzata cui sono dedicati solo cenni fuggevoli.
Tuttavia, come accennavo, le conclusioni dell'autore sul berlusconismo, e le sue previsioni per il futuro, poggiano interamente sulle premesse della sua analisi di questo fenomeno che, sintetizzando molto, ma senza fargli, credo, torto, non viene considerato una vera innovazione nel mondo politico contemporaneo, ma una semplice versione, provinciale e tardiva, del grande movimento mondiale della destra reaganiana e thatcheriana. È chiaro che, se così stanno le cose, nel momento in cui quel modello viene definitivamente affossato dalla crisi economica e dall'ascesa di Barack Obama, anche il berlusconismo è destinato a scomparire: un poco come i cavalli sono irrimediabilmente scomparsi dopo la rivoluzione industriale, perché non ce n'era più bisogno. Se Berlusconi è stato l'araldo del liberalismo, la sua "rivoluzione liberale" è già finita prima di cominciare e il suo ruolo si è già esaurito, anche perché, nonostante tutto, Berlusconi non è riuscito a trasformare il suo dominio in "egemonia".
Non è difficile prevedere che la parte del libro intitolata Una certa idea di Italia, in cui Schiavone analizza le componenti del berlusconismo, sia quella che attirerà le maggiori critiche, soprattutto per la sua convinzione del carattere transeunte del fenomeno. Non pochi autori ricordo tra i primi un bellissimo articolo di Massimo Salvadori su "la Repubblica" (22 luglio 2003) e, da ultimo, Eugenio Scalfari su "la Repubblica" del 30 marzo 2009 (Meno male che c'è Fini) hanno sostenuto invece che Berlusconi ha efficacemente costituito un nuovo soggetto politico basato su un blocco storico non facilmente scardinabile. Spiace fare un paragone che ad alcuni apparirà come una bestemmia, ma sono pochi gli esempi storici di una coalizione capace di mettere assieme forze così divergenti come la Lega e An: uno di questi è il blocco roosveltiano che radunò, con notevole solidità, e per lungo tempo, i liberals del Nord-Est con i democratici rednecks del Sud.
Inutile dire che, negli ultimi anni, in fatto di previsioni, pochi si salvano: ma per ora è difficile sottrarsi all'impressione che il blocco moderato del Pdl sia, al momento, alquanto solido. C'è la crisi, che è anche crisi di un mondo di cui Berlusconi (più a parole che nei fatti) si è fatto banditore, ma, come già per Mussolini, Berlusconi non ha mai dato molto valore alla coerenza teorica. Anzi, per entrambi questi capi, la libertà dalla coerenza teorica (la "liquidità", dice Schiavone), ha costantemente rappresentato sia una notevole risorsa nelle scelte del momento, sia un potente strumento tattico per disorientare gli avversari. Quindi non costa poi molto passare a una versione "statalista" o quanto meno "protezionistica" del liberalismo berlusconiano: Tremonti, del resto, ci si è già provato in più occasioni.
Per Schiavone, in ogni caso, la previsione della scomparsa del peso di Berlusconi rappresenta la chiave di volta del ragionamento per introdurre la terza parte del volume, intitolata La politica nuova: un termine che riecheggia, non so quanto volutamente, quello usato da George Mosse a proposito della nazionalizzazione delle masse. Infatti, il declino del berlusconismo apre una possibilità per il popolo della sinistra, perché "nel cuore del nostro paese, per la seconda volta, dopo vent'anni si sta aprendo un enorme spazio vuoto non soltanto di politica, ma di pensiero e di autoidentificazione civile. Bisogna tuffarcisi dentro e nuotare". Credo che pochi tra coloro che si collocano idealmente nel campo della sinistra potrebbero dissentire dagli auspici o rifiutare le prospettive che Schiavone delinea, con grande passione, nell'ultimo capitolo; anche se i possibili attori e autori di questa riscossa rimangono nel vago. Qui riemerge con forza l'intellettuale politico, il philosophe, nel classico senso illuministico di chi si propone di tracciare la strada e di rincuorare il suo popolo, anche a rischio di venire accusato di wishful thinking.
Sostanzialmente, Schiavone è convinto che la crisi mondiale distruggerà la base ideologica del berlusconismo, anche se non gli sfugge che, in Europa, crisi di questa profondità hanno, nel secolo scorso, aperto la strada a movimenti di destra. Non tocca al presentatore discutere della plausibilità della prospettiva aperta da Schiavone. Giudicherà il pubblico, soprattutto quello giovane e impegnato politicamente, che, se raccoglierà numeroso l'esortazione, quasi leopardiana, di Schiavone di "nuotare. Nuotare molto", assicurerà un grande e auspicabile successo a questo libriccino.
Guido Martinotti
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