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Non è questa una storia del massimalismo se con questo termine si vuole indicare la corrente maggioritaria all'interno del Psi dopo la prima guerra mondiale e con essa una particolare tradizione politica della sinistra italiana. È infatti convinzione dell'autore che non sia possibile spiegare gli orientamenti politici concretamente assunti dai protagonisti di quelle vicende muovendo alla ricerca di una loro particolare versione del socialismo o di una loro specificità ideologica. In questo modo non si farebbe altro che riprodurre la condanna pronunciata a suo tempo dai comunisti e dai socialisti "riformisti" entrambi concordi nell'indicare nei "massimalisti" i principali responsabili del fallimento del movimento operaio di fronte all'avanzata della reazione fascista. A essere massimalista era l'Italia uscita dal primo conflitto mondiale un'esperienza dirompente sotto molti punti di vista che aveva esasperato i problemi del paese ma vi aveva anche diffuso l'attesa di un radicale mutamento. In questo contesto si spiega la straordinaria mobilitazione delle masse operaie e contadine del 1919-20 portatrici di una richiesta di modernizzazione in senso democratico dei rapporti sociali e delle istituzioni e al tempo stesso di un indefinito progetto rivoluzionario. Ed è proprio la stagione del biennio rosso ciò che qui si intende ricostruire ponendo in primo piano le iniziative spontanee delle masse il fenomeno delle occupazioni delle terre gli scioperi le agitazioni per gli aumenti salariali o per il riconoscimento delle commissioni interne nelle fabbriche. Soltanto in questo modo lasciando una volta tanto in secondo piano la storia dei partiti è infatti possibile per Giovannini formulare un giudizio finalmente sereno sul periodo più tragico e controverso della storia della sinistra italiana.
Cesare Panizza
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