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Dettagli

1 gennaio 1989
414 p., ill.
9788842501992

Voce della critica

ROBESPIERRE, CHARLOTTE, Memorie sui miei fratelli

PIRO, FRANCO, La festa della sfortuna

MOULTON MAYER, DOROTHY, Maria Antonietta

MAZZUCCHELLI, MARIO, Saint-Just

MAZZUCCHELLI, MARIO, Robespierre

MAZZUCCHELLI, MARIO, Andrea Chénier

MADELIN, L., Danton

HAMPSON, NORMAN, Robespierre

HAMPSON, NORMAN, Danton

GUILLEMIN, HENRI, Robespierre politico e mistico

GOTTSCHALK, LOUIS R., Marat

GAUDENZI, GIUSEPPE / SATOLLI, ROBERTO, Jean-Paul Marat, scienziato e rivoluzionario
recensione di Joy Mannucci, E., L'Indice 1990, n. 1

Due anni fa ad Arras, città natale di Robespierre, durante un banchetto della Società per gli studi robespierristi, un professore di liceo ha raccontato di quando, negli anni sessanta, ottenne una cattedra in quella città e, entrato per la prima in classe, chiese agli allievi: "Che sapete del vostro illustre concittadino?". Essi risposero ponendo la mano di taglio davanti alla gola. I commensali "giacobini" accolsero questo racconto con un sorriso amaro. Ancora oggi del resto, l'immagine delle ghigliottina probabilmente prevale, soffocandole, su tutte le altre che riguardano la rivoluzione francese, in molti lettori che comprano una delle biografie uscite in occasione del bicentenario, siano esse opere di divulgazione o di interesse specialistico su Robespierre, Marat, Saint-Just, Couthon, oltre che su Andrea Chénier e Maria Antonietta.
Henri Guillemin dichiara in "Robespierre politico e mistico": "Contro i Pauwels e gli Chaunu [...] sono e resterò con Jaurès e Robespierre". Concludendo la biografia, in cui ha mirato a dimostrare che il pensiero religioso di Robespierre (non clericale, beninteso), anzi, il suo "istinto sacro", deve essere considerato come una chiave interpretativa fondamentale di tutto il suo operato e della sua visione politica, Guillemin scrive: "Eh sì, è innegabile, Robespierre ha fatto uccidere delle persone; è responsabile (non da solo ma lo è) di numerose morti". E va al di là di Mathiez, per il quale il Terrore "era una misura severa, ma necessaria per garantire l'esistenza della Repubblica e l'integrità territoriale della patria". Robespierre ha chiaramente presentato il Terrore come uno "strumento regolare e indispensabile" del governo rivoluzionario. Non ebbe dubbi. Né a Giovanna d'Arco né al "santo" Luigi IX parvero eccessive le stragi compiute in nome di scopi che ritenevano sacri. Anche Robespierre, dice Guillemin, ha nemici che possono provocare la rovina della Francia e della società migliore che egli si sforza di costruire. Qui l'idea del "Robespierre mistico" trascina l'autore a paragoni discutibili. Ma poi accosta i ghigliottinati del Terrore ai caduti in guerra: sono morti motivate dalla salvezza del paese. E ci sono stati più morti in una sola battaglia della guerra '14-'18 che in tutto il Terrore. Robespierre, come un giudice e non come un assassino, non ha fatto uccidere nessuno per ottenere gloria o vantaggi personali, ma solo per difendere "la sua opera, diretta al bene della collettività, con esecuzioni capitali che i suoi stessi avversari, girondini e altri, consideravano uno degli attributi, una delle componenti del mestiere di governante". Questi argomenti storici, che faranno sobbalzare alcuni, seppur incompleti sono di qualche interesse. Sull'uomo Robespierre, poi, danno una particolare risposta allo stereotipo antigiacobino, che lo vuole astratto e fanaticamente inumano. Per Guillemin Robespierre era riscaldato dal senso della missione, fiducioso in una vocazione.
Il Robespierre gelido compare nella vecchia biografia dell'avvocato poligrafo Mario Mazzucchelli, "Robespierre", riproposta da Dall'Oglio insieme a quelle di "Saint-Just" e "Andrè Chénier" dello stesso autore, al classico "Marat" di L.R. Gottschalk, a "Danton*, di L. Madelin (191,4) e a "Maria Antonietta" di Doroty Moulton Mayer (1968). A queste vecchie edizioni sono state aggiunte sopraccoperte per il bicentenario, in cui non si segnala l'età matura dei testi, ormai divenuti a loro volta documenti storici (penso soprattutto a Madelin e Gottschalk).
Mazzucchelli non era disonesto. Si informò e citò tutte le fonti disponibili fino agli anni quaranta del Novecento nel ricostruire la personalità di "Robespierre". Ma diamo un'idea del tono del libro: "Come mai quell'inflessibile, rigido, aspro Incortuttibile, con il suo delirio d'amor proprio, con l'esibizionismo inconcepibile di se stesso, non disgustò né rivoltò i suoi ascoltatori? Chi erano essi? Borghesi vanitosi, ipnotizzati dalla follia delle grandezze, esseri oscuri, famelici d'autorità, proletari ignoranti, donne isteriche...". E ancora: "Eccezionale per unità di vita, eccezionale per i suoi principi, per i suoi costumi, per la sua morale". La biografia divulgativa è spesso il regno dei superlativi. I suoi protagonisti sono tutti unici in maniera analoga, trasformati, come scriveva Leo Lowenthal, in "miti-cliché" che fanno di ciascun uomo il mito di se stesso. Mazzucchelli: "Ci sentiamo di proclamare con certezza l'inumanità di questa figura. L'Incorruttibile ha [...] tutte le caratteristiche del dittatore. È la vera raffigurazione del Terrore, del governo della paura per la paura". L'autore accosta la figura di Robespierre a quella di Lenin e respinge ogni confronto con Hitler, perché, se entrambi furono "invasati" a Robespierre bisogna riconoscere che "fu ispirato da generose idee di rinnovamento sociale" e "contribuisce a un'evoluzione più moderna e più civile della sua nazione". Nella biografia di "Saint-Just" paragona il Terrore alle epurazioni staliniane. Saint-Just è l'"Arcangelo nero" e, ecco i superlativi biografici, "l'oratore più trascinante della Convenzione", il quale "ebbe il dono rarissimo di saper coniare le locuzioni più fulminanti". Ma il libro contiene affermazioni assurde, come quella che al museo Carnavalet sia conservato un libretto con la costituzione repubblicana "legato in pelle umana, e pare trovato tra i libri di Saint-Just".
"Maria Antonietta" della Moulton Mayer ridimostra che quando si parla di figure femminili, specie se in collane su "Donne celebri" (Cleopatra, Lucrezia Borgia, ecc.), non si parla seriamente. Questa biografia di una donna proposta in occasione del bicentenario è quella che meglio si presta non solo a una grossolana condanna della rivoluzione in quanto tale, ma anche al libero uso dei luoghi comuni della biografia popolare: il destino incombe sui protagonisti ignari e di conseguenza, cito titoli di capitoli, "La storia avanza" e "Si prepara l'uragano". Non sorprende quindi leggere che Marat, prima dell'uragano, era un insignificante garzone di stalla del conte d'Artois.
Il "Danton* di Madelin fa invece parte della tradizione del dantonismo patriottico della Terza Repubblica, fino alla prima guerra mondiale. Madelin, che cita molto Sorel, vede Danton come un eroe realista, uomo della politica pratica, contraria all'ideologia e alla guerra religiosa e sociale, e soprattutto salvatore della patria in pericolo, nazionalista che cerca l'unità della patria per assicurarne la grandezza: "contadino" della Champagne, amante della terra, vuole la grande Francia, le conquiste. Egli, si badi bene, incarna "non solo la patria di quel momento [...] ma l'eterna patria, che non conosce regimi né uomini, insomma la Patria". L'autore loda quello che definisce "opportunismo" di Danton: i repubblicani moderati dell'ultima parte dell'Ottocento erano detti anche Opportunisti, e Danton fu l'eroe repubblicano antitetico a Robespierre. Su "Danton* è stata ristampata anche la biografia di Norman Hampson del 1978 che, partendo dal punto in cui Lefebvre, corretti gli eccessi antidantoniani di Mathiez, lasciò la questione negli anni trenta, ricostruisce ancora una volta questa personalità, affrontando i problemi aperti classici, primo fra tutti la venalità di Danton. Di Hampson Bompiani ha riproposto anche "Robespierre" (1974), scritto in forma di dialogo tra un narratore dei fatti minuzioso e "agnostico", un "funzionario di ministero", un comunista e un prete.
Gottschalk è uno studioso americano influenzato da Mathiez. "Marat", del 1927, è un testo che si legge ancora, ma dal quale non si possono più trarre lezioni di metodo. L'autore sottolinea la dedizione di Marat alla causa della rivoluzione e vede in questo la sua relativa grandezza. Non gli riconosce invece una continuità di idee: per Gottschalk Marat è, prima della rivoluzione, uno scrittore politico occasionale, dalle idee poco originali e monarchiche; ma fu "foggiato dagli eventi". "Soltanto la forza di circostanze indipendenti dalla sua volontà", scrive Gottschalk. "fece di lui, servitore compiacente e ben pagato della nobiltà, un capo del movimento popolare del suo tempo". In questa visione dell'uomo "foggiato dagli eventi", che non ha qui a che fare con l'interpretazione delle azioni e delle idee di un individuo a partire dalla sua situazione materiale, ritroviamo, mi pare un altro nodo problematico della biografia: il rapporto tra un individuo e la realtà circostante può diventare una dialettica non risolta a livello teorico tra unicità di una monade e irresistibilità della Storia, succedersi incalzante di fatti o entità. Troviamo una frase sintomatica anche oggi, nella biografia di Franco Piro, "La festa della sfortuna" (Rizzoli 1989), che tratta del rivoluzionario in sedia a rotelle Couthon, ghigliottinato con Robespierre e Saint-Just. Nell'introduzione si dice, a proposito della cronologia: "Non è concesso sottrarsi a questo incatenamento di fatti inevitabile, diretto dalla regia prepotente della Storia". Estrapolo questo da un libro che non dice solo questo, per indicare un pericolo che mi sembra insito nel genere biografico' quello, solo apparentemente paradossale, dell'appiattimento o della stereotipizzazione e dell'individuo e della storia di cui fa parte. Un pericolo che viene meglio evitato nelle nuove biografie di uomini che non sono "protagonisti" (faccio l'esempio di Vovelle su Théodore Desorgues), figure in cui, se vogliamo adottare per comodità questa categoria astratta, la storia emerge, si articola.
Quel pericolo invece lo corre "Jean-Paul Marat, scienziato e rivoluzionario", di Giuseppe Gaudenzi e Roberto Satolli. Nei momenti meno felici del libro si ha l'impressione che il personaggio sia un bandolo per organizzare il materiale, specie quello della seconda parte sogli eventi rivoluzionari. L'idea del libro è buona: un giornalista di formazione medica e uno di formazione umanistica collaborano per spiegare Marat nei suoi due aspetti, quello prerivoluzionario e quello rivoluzionario, quello scientifico, finora studiato insufficientemente, e quello politico. Essi, a differenza di Gottschalk, postulano una sostanziale continuità delle idee di Marat. Dal punto di vista scientifico Satolli cerca di fornire un'interpretazione di Marat, inserendolo all'interno del panorama delle scienze della sua epoca e valutandolo in parte col senno scientifico di poi. Data la sua formazione, egli è colpito dalle questioni del metodo e del merito scientifico, ma trascura il contesto culturale e politico, il senso dello scontro tra cultura, ufficiale e non, alla fine dell'"ancien régime", una questione che riguarda anche il campo delle scienze affrontata per esempio negli studi di Robert Darnton. Il libro, poi, è nettamente diviso in due parti. Marat compie una svolta: da scienziato diviene politico rivoluzionario.
Infine sono state tradotte le "Memorie sui miei fratelli" di Charlotte Robespierre, curate nel 1834 dallo storico robespierrista Laponneraye. È questa la fonte che mostra il Robespierre ragazzo e uomo privato, in chiave tutta positiva. Charlotte esalta e difende a spada tratta il fratello maggiore e si intravede la sua necessità psicologica di giustificarsi e di tacitare certi sensi di colpa. Queste memorie sono quindi in parte anche un autoritratto.

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Roberto Satolli

Roberto Satolli è medico e giornalista. Ha svolto attività clinica come cardiologo per un decennio, poi si è dedicato all’informazione, nel campo della salute e della scienza, fondando con alcuni collaboratori l’agenzia editoriale Zadig e dirigendo alcune testate scientifiche. Con Feltrinelli ha pubblicato Vita morte miracoli. Medicina, genetica, diritto: conflitti e prospettive (1992; insieme a Stefano Nespor e a Amedeo Santosuosso), I due dogmi. Oggettività della scienza e integralismo etico (2009; insieme a Paolo Vineis) e Zona rossa (2015; insieme a Gino Strada). Fonte immagine: sito editore Feltrinelli.

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