Perfino il futuro, diceva il poeta, non è più quello di una volta. Terminata la lettura, la sensazione di speranza insatura è la stessa che ispirano le grandi utopie architettoniche: la nostalgia di un domani mancato. Quando sul declino della fase più complessa, fantasiosa e creativa della sua parabola di compositore Karlheinz Stockausen sbarca a Londra per un ciclo di conferenze (1972), la neue Musik sembra promessa a evoluzioni inaudite, un balzo iperspaziale che neppure gli estremismi del secondo dopoguerra avevano lasciato presagire. La sintesi elettronica, l’analisi spettrale e la manipolazione dei segnali acustici non erano soltanto innovazioni sonore, ma preludevano a una nuova concezione del tempo, a una mutazione antropologica dell’orecchio, a una ridefinizione incommensurabilmente radicale dei rapporti tra la forma, il ritmo, il timbro e le altezze. La stella Sirio sembrava transitare a due spanne dal pianeta terra e la schönberghiana “atmosfera di altri mondi” spirava più vicina che mai, come un alito di primavera.
Prima di studiare queste trascrizioni, uscite in inglese nel 1989 e solo oggi proposte in Italia a cura di Robin Maconie, vale la pena di riscoprire i video di quelle lezioni, disponibili nel catalogo Stockhausen Verlag. Il nudo testo non rende giustizia all’aura del momento. Lo sguardo febbrile, la fronte convessa, i capelli sulle spalle e una sorta di lunga redingote, il quarantaquattrenne caposcuola calca la scena come un incrocio tra il giovane Goethe e un predicatore marziano. Improvvisa scioltamente in inglese di fronte a una platea dalle cravatte improbabili sfoggiando un elegante accento british, e ogni sua frase trasuda intelligenza, carisma e profetica immodestia. Sembra quasi scontato che la storia del nuovo linguaggio musicale debba coincidere con quella della sua esperienza di scrittura, o quantomeno rapprendersi in essa. Dalle opere emblematiche degli anni cinquanta si giunge così per successivi esempi ai più tardi Mikrophonie, Momente e Kontakte, miniature di universi possibili, protocolli e soluzioni esemplari di problemi.
È affascinante indovinare tra le righe gli sforzi profusi da Stockhausen per concettualizzare il proprio operato sul piano analitico e tecnico, dotandosi di nuovi strumenti descrittivi e categorie capaci di sorreggere il discorso anche dove la terminologia tradizionale non bastava. Nel suo idioletto dell’epoca abbondano concetti ad hoc come “gruppi”, “eventi”, “masse”, “momenti”, “piani”, “formule”, “membra” ecc., introdotti per descrivere principi inediti di organizzazione del suono e dell’accadere. La radicale discontinuità logica ed estetica dei procedimenti sperimentati negli anni sessanta non poteva che esigere la messa a punto di un pensiero formale altrettanto innovativo e sui generis. Illuminante, a questo riguardo, è la visita guidata all’intricato meccanismo di Momente. È un peccato che le generazioni successive, impazienti di archiviare una mal vissuta “avanguardia”, abbiano spesso fatto marcia indietro, tornando a Newton sulle soglie di Einstein, senza levare fino in fondo gli ormeggi. Pur con tutti i suoi aspetti discutibili e kitsch, l’avamposto-Stockhausen di quei decenni incarna il sogno di un altrove ancora parzialmente inesplorato, e forse destinato a rimanere tale.
L’edizione italiana avrebbe meritato una cura più attenta, specialmente in sede ortografica e stilistica, ma sul piano tecnico-musicale la resa è sicura ed efficace.
Francesco Peri