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Uno di quei libri che ti piace leggere
Feiffer e il noir: chi l’avrebbe mai detto?
Che strano fumetto che è, Kill my Mother. O più che strano, inaspettato. Già il fatto che al momento della sua pubblicazione (negli Stati Uniti è uscito nel 2014) sia stato presentato come il “primo graphic novel noir” di un autore a quel punto ultraottantenne, vale da solo la curiosità. E poi sì, c'è il fatto che Kill my Mother è per davvero un noir, nel senso più puro e hammettiano del termine, e insomma, il collegamento tra Jules Feiffer e il genere di The Maltese Falcon non è di quelli automatici. Non tanto perché il vignettista americano è noto perlopiù per le sue illustrazioni di stampo comico-satirico; è che proprio il suo tratto schizzato, impreciso, svolazzante, che non sta mai fermo e che per definizione poco sopporta margini e contorni netti, è praticamente l'opposto della cupezza espressionista che abbiamo imparato a conoscere dalle pellicole di John Huston, Howard Hawks, Robert Siodmak & co.
È in fondo lo stesso Feiffer, in un'intervista del periodo al New Yorker, ad ammettere che “non pensavo fossi la persona giusta a disegnare la storia che volevo raccontare”. Effettivamente Kill my Mother non è quello che si dice un fumetto facile da sfogliare: molte tavole hanno un andamento controintuitivo e alle volte un pizzico confuso, i balloon non sai mai bene da che parte prenderli, i personaggi “ballano” pure quando stanno fermi, e il lettering involuto al punto dell'illeggibilità non aiuta. Però è altrettanto vero che il noir, in quasi un secolo di storia, è stato sottoposto a talmente tante torsioni e forzature che alla fine, perché no? Il paradosso di Kill my Mother è quindi quello di far assomigliare un autore classico come Feiffer a uno di quei cartoonist underground che si divertono a smontare e far esplodere gli immaginari di genere, tipo che ne so, un misto tra Quentin Blake e un Christopher Forgues passato da Dungeons and Dragons a Mickey Spillane. Ok, sto lavorando di immaginazione, ma non siamo così lontani dall'effetto finale.
Per Feiffer, pare di capire, si è trattato principalmente di una questione affettiva: da adolescente è stato un avido lettore/spettatore di romanzi/film hard boiled, e aggiungiamo pure che fu giovanissimo assistente di Will Eisner per The Spirit, un'esperienza cruciale che – a quanto sappiamo – a Feiffer provocò anche frustrazioni e commenti non proprio lusinghieri da parte del grande maestro del fumetto moderno. Eisner compare comunque nelle dediche finali del libro assieme a maestri della letteratura ‘crime’ come Dashiell Hammett, Raymond Chandler e James M. Cain, ma leggendo Kill my Mother viene più da pensare a Cornell Woolrich, alla sordida morbosità tipica delle sue storie e alla complessità dei suoi personaggi femminili. D'altronde femminili sono tutti i personaggi principali dello stesso Kill my Mother, a partire dal titolo (“nulla di autobiografico”, rassicura Feiffer). La vicenda ruota principalmente attorno al rapporto eufemisticamente conflittuale tra la vedova Elsie e sua figlia Annie e ai segreti che circondano la statuaria Mae, vero perno di un plot non sempre solidissimo e qua e là allegramente inverosimile; poi sì, c'è anche l'obbligatorio detective à la Sam Spade: si chiama Neil Hammond e nei botta e risposta con Elsie fa inevitabilmente pensare agli immortali scambi di battute tra Humphrey Bogart e Lauren Bacall ne Il grande sonno, ma la verità è che Hammond è un personaggio perlopiù patetico, triste, un ubriacone molestatore senza un briciolo del rigore morale di un Philip Marlowe.
In realtà tutto il fumetto scivola in fretta da toni quasi da commedia – che farebbero pensare a un ironico pastiche in cui Feiffer si diverte a omaggiare e reinterpretare i cliché di genere – a un'amarezza dal retrogusto quasi psicanalitico, come in effetti è tipico della migliore narrativa noir. Degli ingredienti cari al filone battezzato dai soliti Hammett, Chandler e Cain (e Woolrich), non ne manca quasi nessuno: c'è la “biondona”, c'è l'America degli anni 30 e poi quella della Seconda Guerra Mondiale, c'è lo swing, la boxe, Hollywood, il tema del doppio, quello dell'identità, il passato che sempre ritorna; ci sono i boxeur ballerini (parliamo pur sempre di un'opera targata Feiffer, eh?), aspiranti star del cinema, trame losche, drammi familiari, tensioni erotiche e donne sbandate; ci sono i vestiti, le macchine, le ville, le città. Ma tutto ha un'aria incerta, instabile, traballante come il tratto dell'autore. Pur non essendo un'opera perfetta, e pur essendo il romanzo hard boiled un serbatoio di immaginari abbondantemente sfruttato dal fumetto di ogni dove, Kill my Mother resta comunque quello che recita lo strillo di copertina firmato Neil Gaiman: “Uno di quei libri che ti piace leggere”.
Recensione di Valerio Mattioli
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