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Con una nuova traduzione di Massimo Bocchiola e un saggio d'apertura intenso e davvero ricco di agganci e parentele letterarie di Claudio Magris, esce per Einaudi una nuova edizione di Kim, una delle più celebri opere che Rudyard Kipling pubblicò agli inizi del Novecento, negli anni in cui, per raccogliere materiale per i suoi libri, era solito fare lunghe puntate africane, tra cui la Rhodesia era la meta preferita, dove divenne amico di Cecil Rhodes. Un uomo ingombrante che certo avrà lasciato un segno nella concezione, e nella rappresentazione, che Kipling diede dell'impero britannico. Tanto ingombrante da inquinare con il marchio del "colonialista" la fama di questo scrittore così poco amato da tutta la generazione dei mal definiti critici postcoloniali.
Le avventure di Kim sono notissime, anche grazie alla versione cinematografica hollywoodiana degli anni cinquanta dove compariva addirittura Errol Flyn e a quella televisiva con Peter O' Toole nei panni del lama. Orfano di un sergente irlandese, il ragazzino Kimball O'Hara cresce sulla strada, e, sulle orme di un amorevole santone, prende la via della Grand Turk Road alla ricerca di un fiume miracoloso, il fiume della Freccia. Si scontrerà con i servizi segreti dell'impero britannico che cercheranno di sfruttare la sua doppia natura, di inglese e di indiano, per coinvolgerlo nel "Grande Gioco". Ma infine si salverà, scegliendo la via della meditazione. Si tratta, in verità, di una storia molto complicata, molto poco adatta a un pubblico di lettori adolescenti. Infatti "Kim è la parabola della Ruota delle Cose, dell'anelito a liberarsene ma anche del suo fascino inestirpabile; è la storia della vanità di tutto ma anche dell'irriducibile significato di ogni cosa, a cominciare dai regolamenti e dalle furerie dei reggimenti dell'Impero britannico" e ancora, sempre secondo la riflessione di Magris, "professore di energia talora brutale, Kipling è poeta della debolezza, dello smarrimento o di quell'autentica forza che naufraga nel buio cercando di tenere la barra e la rotta".
Questo romanzo è forse l'unico esempio, in tutta la copiosa produzione di Kipling, di una narrazione tutta votata alla felicità. È vero che il protagonista ha i suoi momenti d'incertezza, di paura, ma è soprattutto vero che, in una chiusa memorabile, il caos si stempera, si stende illuminato da una luce di verità. La necessità di una strada, di una casa, di una bestia, di un uomo e di una donna appaiono agli occhi di Kim come composti della sua stessa carne, "creta della sua creta": un gioco di corrispondenza difficilmente reperibile in altre prove kiplinghiane. Si ricorda infine, tra le tante altre edizioni di Kim, quella del 2000 uscita da Adelphi per la traduzione di Ottavio Fatica.
Camilla Valletti
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