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recensione di Cerasi, E., L'Indice 1998, n. 7
"Patire" è forse una parola trascurata, resa fragile e incerta dalla presenza di consimili più robuste e nette, come "soffrire", la quale, secondo Tommaseo, "indica sovente sofferenza abituale, o molto lunga, d'un incomodo, d'un dolore nel corpo". Tuttavia, quando sia esonerata da fastidiosi sentimentalismi, è in grado di aprire nuovi significati dell'esperienza quotidiana; ha avuto ragione, dunque, Carla Vasio ad accoglierla nel suo ultimo racconto. "Patire" ha a che fare con l'involontaria disposizione di chi ha subito un dolore prolungato e non sa risolversi a lasciarselo alle spalle. Questa, in fondo, ci pare la tonalità dominante del libro.
La storia, ambientata nel Lido di Venezia degli anni trenta e quaranta, è governata dall'immobilità di una famiglia certamente agiata, che sembra aver bloccato il tempo; che sembra sospesa in un'atmosfera premoderna, convenzionale e ipocritamente tollerante. Ma c'è qualcosa che l'immobilità della villa non riesce a bloccare. Il sogno della bambina, la minore di casa e in fondo la protagonista, attraverso il quale la vita domestica acquista la sua "effettiva" irrealtà, fatta di fantasmi che ognuno dei membri familiari insegue, fatta di avvenimenti soltanto allusi, sogno che viene tuttavia turbato da un presagio, qualcosa di oscuro che agita e preme di là dello sguardo. Ma il presagio, bruscamente, si materializza: acquista un volto, una fisicità. Si tratta di Ofelia, un'"incomprensibile presenza", una "parente ignota" uscita da una lunga degenza ospedaliera. La bambina, come sempre di fronte a immagini archetipiche, è invasa da "un orrore e un'attrazione sconosciuti".
È forse la fascinazione per l'anima, qui rappresentata dalla ragazza, che la bambina non sa spiegarsi: accade spesso anche nei sogni.
Questa apparizione, con la sua carica numinosa e dunque perentoria, produce l'effetto di interrompere il sogno; le cose, uscendo dalla sospensione precedente, cominciano a muoversi e diventano tempo, storia pubblica, vita diurna; il contatto con l'anima dischiude la vita, e l'infanzia si dissolve. Tant'è che la stessa unità domestica si infrange: la villa viene ceduta ad altri proprietari, i membri della famiglia si separano, come sospinti da qualcosa di inevitabile.
Il racconto di Carla Vasio, dunque, si presenta più come un romanzo iniziatico che come una storia familiare. Anche l'atmosfera un po' fiabesca nella quale è avvolto il Lido di Venezia è più verosimile come ricordo d'infanzia che come descrizione storica: oggi del resto, a Venezia, le domestiche non provengono più dal Cadore, come nel caso di Clelia, ma dalla Croazia, dalla Slovenia, dalla Polonia.
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