Con la vicenda umana dello scienziato Nikola Tesla, Jean Echenoz chiude la trilogia inaugurata con Ravel e proseguita con Correre. Un musicista, un atleta e uno scienziato, tre piccoli libri magici che in poche pagine raccontano una vita: non delle biografie, ma più semplicemente delle storie. Echenoz lavora sul limine, la sua scrittura percorre un passaggio stretto tra realtà e finzione, un equilibrio che gli permette di raccontare fatti accaduti trasformandoli direttamente in letteratura: tutto quello che accade nel libro è vero, ma nulla è reale. La scrittura di Echenoz è un agente chimico che ripulisce da sguardi abituati a ridurre l'occhio all'interno di confini prevedibili. Basta poco, ma la precisione è necessaria. Il primo e più evidente scarto che compie l'autore di Lampi è nel nome del protagonista: a differenza dei due libri precedenti, il nome cambia, non più Nikola, ma Gregor, con tutti i riferimenti kafkiani del caso, mai esplicitati, ma capaci da soli di condensare l'atmosfera del romanzo. Gregor nasce nell'Est Europa e si sposta sempre più a ovest raggiungendo gli Stati Uniti. Qui il protagonista potrà dare libero sfogo alla propria visionaria genialità mettendo a punto, tra l'altro, l'uso della corrente alternata. Ricco e famoso, non si libererà tuttavia di una perenne misantropia che lo rende tanto odioso quanto affascinante, nonché particolarmente arrogante. La caduta lo vedrà abbandonato con l'unica compagnia degli amati piccioni, amore non del tutto ricambiato, fino alla tragica fine. Tutto in Lampi è minuscolo. Piccoli accadimenti, rotazioni d'angolo che rivelano o preannunciano. La carriera di Gregor prende il tempo di un cambiamento d'umore come di una casualità; i veri accadimenti, le grandi invenzioni, appaiono improvvisi, ma naturali come elementi di un processo scontato, ovvio. Il lettore si ritrova immerso nella doppia posizione di spettatore, tutto si srotola davanti ai suoi occhi come su un proscenio teatrale. La scrittura si autogenera lasciando da parte il lettore in quello che è forse un eccesso di progettualità: un sistema perfettamente oliato, ma anche fortemente inaccessibile. Echenoz traccia i confini della storia e contemporaneamente quelli del lettore: tutto è chiaro e lampante, ma oltre non si può andare. Lampi non è semplicemente la terza parte di una trilogia, ma ne riassume in toto gli stilemi. Così come in Correre vi si trovavano, stratificati, elementi di Ravel, in quest'ultimo pannello è possibile ritrovare caratteristiche che riuniscono i due precedenti testi ancora più in profondità. Come lui stesso ha avuto occasione di spiegare, Echenoz vede nella figura dello scienziato la riproposizione amplificata di quelle che erano le caratteristiche dell'atleta e del musicista. Un libro ambizioso e bello proprio per il respiro e la qualità che va ad assumere all'interno della trilogia e che fa di Echenoz uno dei più curiosi e intelligenti autori tra quelli nati tra le mura delle Editions de Minuit, culla del nouveau roman, per le cure di Alain Robbe-Grillet. Brevi commenti inframmezzano la storia, il narratore esterno entra spesso e improvvisamente con ironia e con giudizi taglienti all'interno della vicenda. Parole che possono apparire come strizzatine d'occhio al lettore, ma che hanno piuttosto la funzione necessaria di attirarne l'attenzione sviandolo dalla strada principale. Lo spazio del commento è però quello del vicolo cieco, da cui subito si torna indietro.Pulci nell'orecchio che sostituiscono lo schema del romanzo classico, fatto d'intrecci, evitando però allo stesso tempo una ricerca sperimentale gratuita. Echenoz non rifiuta la lezione del nouveau roman, anzi la evolve (per alcuni forse la degenera) in un percorso coerente, che ha come punto di svolta un piccolo libro dedicato all'amata figura di Jérome Lindon, fondatore delle Editions de Minuit, Il mio editore, che precede la trilogia. Un testo emotivamente coinvolgente, che ricostruisce un legame forte ed essenziale fatto di brevi incontri e di poche parole, determinanti e fondamentali per la sua vita di autore; ben più di quanto allora lo stesso Echenoz potesse immaginare. Probabilmente Lampi rappresenta anche il limite di una narrazione di cui difficilmente possiamo intravedere uno sviluppo, qualche cedimento si può scorgere in una progettualità a tratti troppo rigida, in un amore esagerato per uno stile che rischia sempre di sconfinare nel gioco. L'amore unico e totale per i suoi piccioni è costato molto al nostro Gregor e il finale sembra essere una forma di avvertimento sia per il lettore che per lo stesso Echenoz, in attesa di una nuova e imprevista virata. Giacomo Giossi
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