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Libro travolgente! Il titolo potrebbe trarre in inganno: non c'è nulla di smielato, non è una classica storia d'amore, ma nel racconto è intrecciata la storia della Siria, di faide, di clan rivali... Farid e Rana, come Romeo e Giulietta si amano, ma sono ostacolati dalle famiglie, faranno di tutto per ottenere di stare insieme. I personaggi, alla conclusione del libro, ti mancheranno.
Storie che si inseguono e che si intrecciano, che come fiumi carsici divergono e poi si riallacciano, storie di odio, di rancori e di vendette fra clan e all’interno dei clan stessi. E ancora, vicende di personaggi di contorno e di figure marginali, che si accavallano e appesantiscono. La lettura deve essere spesso interrotta per individuare la posizione dei personaggi – almeno quelli presenti negli alberi genealogici, strumenti essenziali per orientarsi nel groviglio. Al confronto, “L’amante di Damasco”, asciutto e tagliente, è superiore.
Bellissimo!! Al di là della trama (che nonostante la quantità di personaggi e la lunghezza mi ha tenuto incollata al libro) ho trovato veramente interessanti i piccoli estratti di vita locale (collegati a personaggi che magari compaioni solo per qualche pagina) che permettono di farci conoscere una cultura diversa dalla nostra... Bellissimo!
Recensioni
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In Germania la produzione letteraria degli scrittori migranti costituisce da diversi anni un genere di notevole successo editoriale. Un tempo ancora negli anni settanta si parlava di Gastarbeiterliteratur – letteratura dei lavoratori ospiti – oggi si dice Migrantenliteratur un termine connesso con il flusso particolarmente vivace verso la Germania di esiliati profughi e rifugiati politici che hanno adottato la lingua del paese di accoglienza. Scrivono infatti in tedesco non solo diversi autori appartenenti alla corposa comunità turca interna come Emine Oezdemar e Feridan Zaimoglu ma anche immigrati italiani come Gino Chiellino e Franco Biondi. Mentre tra i più giovani vi sono il popolare Wladimir Kaminer ebreo russo trasferitosi a Berlino dopo la caduta del muro e di prossima pubblicazione anche in Italia l'ungherese Terezia Mora. In genere si tratta di scrittori che pur non rinunciando alle loro radici originarie s'immettono sulla scena intellettuale tematizzando la loro nuova esistenza asprezze e difficoltà comprese con una produzione spesso sostenuta dal Deutscher Fonds e ampiamente promossa dalla critica letteraria un dato che dimostra come la Germania sia un paese particolarmente attivo nel sostegno della dimensione interculturale.
Anche il siriano Rafik Schami nato a Damasco nel 1946 e costretto all'esilio dal 1971 ha esordito nell'area della Gastarbeiterliteratur: laureato in chimica a Heidelberg Schami è rapidamente passato dalla provetta alla penna fondando con altri immigrati il gruppo letterario Südwind impegnato nell'integrazione intellettuale delle minoranze. Di scrittura facile e generosa i suoi testi oggi oltre la ventina sono stati insigniti di svariati premi e tradotti in diverse lingue straniere. In Italia Schami era noto come autore di libri per ragazzi. Ora con un notevole coraggio Garzanti pubblica invece il suo ultimo poderoso romanzo: 856 pagine suddivise in 304 tessere che propongono Schami come multiforme affabulatore del mondo siriano.
Vero è che la molla originaria del testo dichiarata dall'autore nell'ultima interessante tessera metanarrativa era quella di scrivere un romanzo che parlasse di tutti i tipi di amore proibito in Arabia: dunque una merce che ha mercato soprattutto in Occidente e qui di scene estreme ce ne sono – a cominciare dal giovane Elias Mushtak che eccitato dall'estro di un'asinella le piomba addosso penetrandola. Ma strada facendo le tessere si sono moltiplicate conferendo al progetto un taglio storico-sociale mosso dall'altro amore proibito per l'esiliato Schami: la sua terra luogo del ricordo e della nostalgia. Resta tuttavia di mole alluvionale questo mosaico che l'autore disperde nei mille rivoli narrativi di una faida tra famiglie nemiche – una cristiana l'altra ortodossa – nella Damasco del Novecento.
Innegabile è d'altra parte la perizia dell'autore nell' incorporare attraverso le continue scorribande di senso e di mente dei suoi personaggi la travagliata storia siriana lungo tre generazioni. Una storia che si accende a lampi alterni di amore e ripulsa anche nei confronti della cultura europea: raffinata ma infida liberale ma proterva nell'asserire i suoi interessi petroliferi in una Siria arretrata e corrotta stretta nelle contraddizioni interne. Non è tenero Schami con il suo paese e certamente il romanzo non potrà uscire in arabo. Anche perché offre al lettore un'antropologia del quotidiano che addita nel privato la polla della violenza: La famiglia salvò gli arabi dal deserto e nel contempo li schiavizzò si legge alla 36a tessera. Così il vecchio Mushtak vieta ai bambini di toccare il suo pane così tra padri e figli sibila l'odio e voci coniugali offrono il loro duetto d'oltraggio e di morte.
Soprattutto l'autore denuncia lo sprezzo dei maschi – puttanieri e gelosi persino dei cavalli – nei confronti delle donne vittime destinate di un vincolo familiare ferreo e immobile nel tempo. Ma nel romanzo resiste per contro il lato oscuro dell'amore e con impronta orientale accende il testo: sono fanciulle di giunco dal corpo caldo come vespa in pieno sole donne fragranti di gelsomino che invitano al gioco erotico – all'entrata in paradiso – infrangendo la legge del clan. La forza dirompente del sentimento – sottolinea Shami in una recente intervista – può scardinare le barriere. Come Rana che sfidando una faida di sangue ha osato fare il cactus sopravvivere al deserto e poi fiorire. Perché in lingua araba la parola pazienza ha a che fare con coraggio e resistenza e non con sopportazione. Sabr significa infatti sia pazienza che cactus.
Anna Chiarloni
“Il fossato tra le famiglie Mushtak e Shahin era profondo. Nessuno sapeva più dire con certezza come fosse cominciato l’odio, ma perfino i bambini delle due famiglie erano convinti che avrebbero preferito diventare amici del diavolo piuttosto che di un membro del clan nemico.”
Si è perso, in Europa Occidentale, il gusto di raccontare, di affastellare storie su storie di famiglie e di gente e di luoghi. Restiamo colpiti, nel romanzo dello scrittore siriano Rafik Schami, dalla capacità affabulatoria che ci irretisce in un intreccio di vicende sullo sfondo di Damasco, che “non è una città, non è una macchia su un atlante, è una favola che si traveste di vicoli, storie, profumi e voci”. E forse l’immagine che meglio rende l’idea di questo grande romanzo è quella - usata dallo stesso autore - di un mosaico, in cui ogni tessera è numerata perché abbia la sua giusta collocazione per formare le figure di primo piano e quelle di contorno. Infatti “L’ultima tessera” porta il numero 304 ed è quella che ci fornisce una spiegazione di come sia nato il romanzo, la firma stessa dello scrittore a opera completata.
Una giovane donna musulmana fu uccisa, nel 1962, davanti agli occhi di Rafik Schami, perché aveva osato amare un cristiano. “La cosa triste era che non ne valeva la pena. Quell’uomo era un gigolo”. Molti dei capitoli del libro contengono alternativamente le parole “amore” e “morte”, quasi che l’una fosse la naturale conseguenza dell’altro. E spesso lo è, secondo le leggi crudeli di una società maschilista in cui quello che conta è la religione, la lealtà al clan famigliare, l’onore che finisce per identificarsi con la verginità femminile.
Il romanzo inizia con l’amore proibito tra Farid e Rana, lui della famiglia cristiana dei Mushtak e lei di quella musulmana dei Shahin, nella primavera del 1960 e con la domanda, “ma tu pensi veramente che il nostro amore abbia una possibilità?”, per poi risalire indietro, all’inizio del secolo, a quando Georg Mushtak era arrivato a Mala con una sposa musulmana dagli occhi azzurri, in fuga dall’uomo che avrebbe dovuto sposarla, ed era iniziata la rivalità e l’inimicizia con la famiglia degli Shahin.
Impossibile raccontare di più delle vicende del libro, sia per non guastare il piacere della lettura, sia perché sono infinite le miriadi di storie dei membri delle due famiglie, ma anche dei vicini di casa o dei conoscenti- è come se da ognuna si spalancasse una porta o una finestrella che conduce ad un’altra storia, per poi ritornare a quella principale che prende il sopravvento nella parte centrale del libro in cui diventa evidente che Farid, figlio unico di Elias e di Claire, è in parte lo scrittore stesso. Come Farid, anche Rafik Schami fece l’esperienza traumatizzante della scuola religiosa nel convento, non però quella terrificante della prigione, per cui Schami ha raccolto numerose testimonianze vincolate all’assoluta segretezza. Perché la storia di due famiglie non può non essere anche la storia culturale e politica dell’intera Siria al cui governo si sono avvicendati una serie di dittatori scalzati da successivi colpi di stato.
Nel 1970 Farid e Rana partono per Heidelberg, dove l’Università ha accettato la loro richiesta di iscrizione, e inizia il loro esilio. Come è stato per Rafik Schami stesso: “Prima di arrivare in Germania non sapevo che, in esilio, ogni mattina si pensa alla propria città. Da più di trentaquattro anni, quando apro gli occhi penso a Damasco, la città più bella del mondo.”
A cura di Wuz.it
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