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Il 3 settembre 1777 due giovani - uno dei quali destinato ad illuminarci la vita - Giambattista Giovio (1748-1814) e Alessandro Volta (1745-1827), lasciano il lago di Como per il loro primo viaggio letterario. Sono diretti in Svizzera, Alsazia e Savoia. Giovio, rampollo di un illustre casato discendente da Paolo Giovio, si è già fatto notare come letterato, poeta, con interessi per le arti visive e per la religione. Durante il viaggio annota, su un piccolo taccuino, gli incontri avuti, le visite fatte, le impressioni ricevute dalla natura, dalle architetture, dai protagonisti indiscussi di un'epoca. È il caso del grande e cadente von Haller, dell'Alcibiade della storia naturale Horace de Saussure, del poeta e pittore Salomon Gessner e di tanti altri. Fra tutti spicca Voltaire e quel pomeriggio, trascorso a Ferney, ci consegna una pagina unica. Il diario di viaggio di Giovio, ritenuto perduto, ma conservato nella Biblioteca Braidense di Milano, consente di accompagnare i due giovani nel loro primo e per Giovio unico viaggio. La mancata revisione del libriccino ci offre un testo vivace, dove le note estemporanee e i giudizi taglienti non sono lesinati. Le informazioni che se ne ricavano, sebbene importanti, rappresentano soltanto un aspetto della ricchezza del diario. Rientrato in patria, Giovio si mette subito al lavoro per fissare l'esperienza personale in un'opera di cui il titolo è già deciso: Lettere Elvetiche. Per almeno sette anni insegue questo progetto. È tenace la raccolta del materiale (qui riunito e commentato), ma rimane solo un progetto. Quanto sopravvive ci regala però un momento creativo del giovane Giovio, offrendo molti elementi per ricostruire il tessuto fitto e insospettabile di letture e di suggestioni letterarie e artistiche che hanno influito nella elaborazione delle Lettere Elvetiche.
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