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Per fortuna esiste il testo a fronte! Il libro è bellissimo, ma di difficile comprensione se letto interamente in lingua tedesca. La traduzione aiuta moltissimo, nonostante i concetti nel libro non siano così semplici.
Schmidt, reduce da sei anni di guerra e prigionia, vissuto fino ad allora in assoluta povertà, solo nel dopoguerra, e dopo aver tentato diversi mestieri, riuscì a dedicarsi completamente alla scrittura, divenendo un riferimento osannato e contestato della letteratura tedesca. Pagava nei confronti dei lettori e dell’editoria più tradizionale un estremismo ideologico e sprezzante, una cultura eccedente e anticonformista, uno stile provocatoriamente funambolico, smozzicato, sperimentale. In “Leviatano” narra la disperata fuga di un gruppo di slesiani sbandati, affamati, feriti, sporchi (soldati, vecchi, bambini), in cerca di salvezza dai bombardamenti dell’aviazione inglese, in un treno rugginoso e sferragliante, continuamente costretto a fermarsi, bloccato dalla neve e dalle mitragliate dell’artiglieria. Il protagonista, un sergente della Wehrmacht reduce dallo sbandamento dell’esercito, scandisce con una scrittura sincopata ed ansante una sorta di diario dei giorni e delle ore trascorse nel viaggio infernale. L’ufficiale alter ego dell’autore porta soccorso come può al manipolo terrorizzato degli scampati, scortandoli dentro e fuori dai vagoni ad ogni fermata, scavando a mani nude nella neve, soccorrendo i febbricitanti, ma soprattutto imbarcandosi in discussioni e teorizzazioni filosofiche e scientifiche sulla realtà e sul destino finale del mondo, ricorrendo all’astrofisica, alla biologia, alla filosofia, alla matematica, alla storia, ed esibendo un rabbioso nichilismo, un convinto ateismo, un feroce spirito anarchico. Contesta e ironizza su una divinità crudele e indifferente in un cielo spaventosamente vuoto, in uno spazio-tempo “illimitato ma non infinito”, in cui brancola violenta e cieca la stirpe degli uomini illusi e angosciati: “Questo mondo è qualcosa che sarebbe meglio non fosse, chi dice il contrario, mente! Pensi ai meccanismi universali: gola e foia. Propagarsi e asfissione”.
Scritto in tre settimane alla fine del 1946, 20 anni dopo è apparso in Italia ed ora è ritradotto con lucida accuratezza per una bella collana coi testi a fronte. La vicenda è esile, quasi inesistente: due giorni di guerra, sotto la neve, tra vagoni abbandonati, in compagnia di soldati invecchiati nei combattimenti e di ragazzi della Gioventù Hitleriana. Impressioni di luoghi conosciuti e ora sconosciuti, morte. E le sensazioni, le impressioni del narratore, che riflette su se stesso e su quello che accade intorno a lui: dalla descrizione accurata, curiosa e quasi amorosa dei volti e dei corpi, alla cupola magica dell'ambiente che li circonda, col "sole d'oro e le ombre blù" o col cielo grigio che promette gelo e avvolge uomini affamati intenti a combattere. L'orrore degli eventi si mescola con le digressioni che si dipanano nella mente dello scrittore: il suo interesse lancinante si concentra sulle infinite possibilità che offre la lingua, in una costruzione unica di immagini, metafore, giochi di parole, forme espressive di ogni genere. Un'immersione totale che l'Autore sperimenta per la prima volta e che porterà avanti, lavorando instancabilmente per un trentennio, fino alla morte.
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