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Essere artefici del proprio calvario perché non si è in grado di uscire dall'ombra della colpa biblica di aver (forse) causato un dolore estremo al padre e alla madre, al punto da trasformare la permanenza in questa zona di atroce dubbio morale in una malattia psicosomatica, è ciò che accade a Zuckerman nella terza stagione del suo itinerario nella narrativa di Roth. Ad un certo punto, mentre si confronta con varie figure di quell'ebraismo secolarizzato che sente gravare sulla sua testa come termini di paragone compulsivo, è lui stesso ad ammettere l'impossibilità della sua personalissima diaspora, perché egli non cerca di allontanarsi da una regione geografica ma da una morale: «Di tutte le decine di migliaia che prendono la fuga, quelli che fanno da battistrada all'esodo sono gli esuli che non riescono ad andarsene. Non andarsene diventa il loro lavoro» (p. 147). Nathan Zuckerman non riesce ad andarsene da quel fazzoletto del New Jersey che gli ha permesso di diventare uno scrittore ma anche l'origine della maledizione collegata alla scrittura. Tuttavia, alcuni personaggi (l'amante polacca Jaga, la gelida autista Ricky, ma soprattutto il nemico eletto Appel) risultano molto meno credibili di Zuckerman e del dolore che si autoinfligge per cercare di trovare un equilibirio alle sue numerose nevrosi.
Volendo dimostrare come, a fare grande un romanzo, non sia la trama della storia narrata, qualcuno disse che in fondo "Anna Karenina" non è altro che il racconto di un triangolo amoroso. Ebbene, la Lezione di anatomia è un grande libro che parla di un tizio che ha mal di schiena: ma partendo da questo dolore tutto fisico, Roth costruisce attorno al suo alter ego Zuckerman una splendida (e commovente, e divertente)storia di dolore esistenziale. La solitudine dello scrittore con la sua dolorosa, quotidiana fatica delle pagine bianche che chiedono come cuccioli di essere continuamente alimentate sta al centro della narrazione. Zuckerman ha male fuori, sul collo, sulle spalle, sulla schiena e ha male dentro perchè i genitori sono morti senza perdonarlo per le cattiverie del suo Karnovski/Portnoy. Cerca nell'alcool e nei farmaci una liberazione dal dolore che troverà soltanto nel suo unico vero strumento, la parola, che nei dialoghi esilaranti con l'autista della limousine che lo porta ad iniziare la sua nuova e velleitaria carriera di medico, esce torrenziale ed inarrestabile dalla sua bocca, quella stessa bocca che dopo l'espiazione delle colpe nei confronti di un padre-sostituto, sarà costretta a tacere.E' un romanzo più raccontato che dialogato, ma quei pochi dialoghi valgono da soli la spesa.
Un gran libro, espone ma non impone la figura di un personaggio sgradevole e delle sue psicosi, senza cadere mai nella banalità o nel "fine a sè stesso". Una riflessione sul ruolo dello scrittore della società e sul suo rapporto con la propria personalità, tanto divertente quanto drammatica, mai autocompiaciuta.
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