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Pensavo di diventare Indiana Jones, di scavare e trovare una città sepolta. Invece ho imparato a ragionare in un modo nuovo. Eh si. Con questo testo ti rendi conto che l'archeologia non è lo studio di cose vecchie, bensì un'attività di indagine e di scoperta. Gli oggetti creati dall'uomo possono essere interrogati per aprirci alla loro conoscenza e dei loro creatori. L'archeologia si occupa di cose antiche e perfino di oggi! Il testo è pesantuccio: ogni paragrafo, ogni frase, ogni parola sono sintesi di una lunga riflessione. Secondo me è come quei bei film pesanti, che poi con piacere rivedi a "pezzi" e ne trai godimento. In questo caso il godimento è intellettuale.
Recensioni
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Dubito che nel corso del Novecento un'altra disciplina del campo umanistico abbia rinnovato i propri metodi e obiettivi in maniera altrettanto radicale quanto l'archeologia. Da disciplina antiquaria rivolta alle manifestazioni artistiche dell'antichità, si è trasformata in scienza storica globale, ponte sottile teso fra conoscenze tecniche, metodi d'indagine di stampo scientifico su materiali e artefatti e tutti gli altri tipi di documenti storici, analizzati nel loro contesto di produzione, uso, riuso o abbandono.
Daniele Manacorda, docente di metodologie della ricerca archeologica all'Università di Roma Tre, da sempre impegnato nel campo della riflessione teorica sullo scavo archeologico e sull'interpretazione dei suoi dati, dedica questa densa e ampia sintesi al proprio maestro, Andrea Carandini, in occasione del suo settantesimo compleanno e a quasi trent'anni dalla prima edizione del celeberrimo Storie dalla terra. Manuale di scavo archeologico (De Donato, 1981; ultima edizione Einaudi, 2000), che ha rivoluzionato la prospettiva di lavoro di un'intera, nuova, generazione di archeologi da campo.
Con una non celata volontà di differenziarsi da un altro manuale classico, giunto alla seconda edizione italiana (Colin Renfrew, Paul G. Bahn, Archeologia. Teoria, metodi, pratica, Zanichelli, 2006), i temi, affrontati in dieci impegnative "lezioni"/capitoli, sono la sintesi di riflessioni già parzialmente sviluppate dall'autore in precedenti lavori (Prima lezione di archeologia, Laterza, 2004; Il sito archeologico: tra ricerca e valorizzazione, Carocci, 2007), facendo spesso riferimento, nelle scomode note a fondo testo, alle voci del Dizionario di archeologia (Laterza, 2004), da lui stesso curato insieme al compianto Riccardo Francovich.
L'autore pone al centro della sua riflessione il ruolo etico-sociale dell'archeologia ("ci aiuta a farci sentire tutti uguali in un mondo di diversi, più che tutti diversi in un mondo apparentemente di uguali"), già a partire dall'introduzione ("affascinante capacità di sporcarsi le mani mantenendo la mente e l'anima pulite") e del primo capitolo ("dare il senso della lontananza del passato, più o meno remoto, e al tempo stesso della sua vicinanza").
Si parte dagli strumenti dell'archeologo e dalla diversità tra questi e quelli dello storico, pur occupandosi dei medesimi periodi: dalla comparsa dell'umanità sulla terra sino ai giorni nostri. L'archeologo si occupa infatti dei "fossili del comportamento umano", studiati nel loro contesto attraverso la tipologia, la tecnologia e la stratigrafia. Procedendo, viene analizzato il tema delle radici dell'archeologia nella storia dell'arte classica e di come il rapporto tra le due sfere passi oggi attraverso la comprensione dell'oggetto artistico anche con lo studio della cultura materiale. La differenza di respiro tra i documenti scritti e le tracce materiali studiate dall'archeologia offre un ulteriore oggetto di riflessione. Gli oggetti mobili e immobili costituiscono la materia prima dell'indagine archeologica: infatti "la terra è depositaria di infiniti racconti, che l'archeologia trascrive mediante l'applicazione del metodo stratigrafico". Nel successivo capitolo vengono quindi spiegati, in una sintesi ricca di esempi, i principi della stratigrafia archeologica e dello studio dei paesaggi storici.
La seconda metà del libro affronta temi maggiormente teorici, legati ai problemi dell'archeologia urbana (si pensi alle polemiche di queste settimane sulla costruzione della linea C della metropolitana di Roma) e dell'archeologia dell'architettura, che vede ancora una forte chiusura professionale da parte delle due categorie di fronte alla necessità di una collaborazione, indispensabile se si vuole che i cantieri di restauro siano, prima di qualunque intervento modificatore, la principale fonte di conoscenza di un monumento. Si passa poi ai contributi di altre scienze all'archeologia (informatica, scienze naturali, archeometria ed etnografia), allo stato del dibattito teorico (archeologia processuale e post processuale; archeologia storica globale), alla necessità di una divulgazione di alto livello dei risultati del lavoro dell'archeologo.
Riflessioni irrisolte suscita poi l'ultimo capitolo, dove il tema di "Archeologia e mondo contemporaneo" porta con sé la domanda: chi saranno i lettori di questo volume? Studenti di archeologia e archeologi professionisti, certamente. E altri? Quali tra i responsabili delle frenetiche trasformazioni che sta subendo il territorio italiano (dal secondo dopoguerra in avanti) si porranno il problema delle conseguenze di una quasi totale mancanza di prevenzione archeologica e di una pervasiva ignoranza di quali siano i contributi portati dal rinnovamento dell'archeologia alla conoscenza storica? Urbanisti, ingegneri, architetti, pubblici amministratori, manager, quale idea hanno dell'archeologia e della necessità di figure professionali adeguatamente preparate a evitare interventi potenzialmente distruttivi sul patrimonio del sottosuolo e del paesaggio? Probabilmente l'idea che scaturisce da certe mostre a effetto, che sempre più si ripetono in Europa a celebrare i fasti di "tesori", presentati in infinite teorie prive di adeguate spiegazioni e accompagnate da ponderosi tomi catalogici, che sono in realtà raccolte di serissimi studi scientifici a basso potenziale divulgativo (buon esempio di ciò nelle recenti esposizioni dedicate alle popolazioni barbariche)? Se è vero che l'amministrazione dei beni culturali in Italia è malata di "carenza di progettualità" e di "elefantiasi burocratica", manca ancora una concreta proposta (né facile applicazione può trovare il modello di Martin Carver, Archeological Value and Evaluation, Società Archeologica Padana, 2003) per rispondere all'improcrastinabile esigenza di evitare l'emorragia di dati archeologici quotidianamente prodotta dalla crescente incultura storica della nostra società.
Federico Barello
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