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Liberalismo italiano. I dilemmi della libertà - Massimo L. Salvadori - copertina
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Descrizione


Evocato con insistenza dalle più diverse e contrapposte parti politiche, il liberalismo italiano non è mai riuscito a trovare una sua coerente e chiara messa in pratica. Sulle ceneri del Ventennio fascista, l'Italia del dopoguerra si era dotata di istituzioni e di una costituzione di ispirazione democratica e liberale, ma la scena politica era stata occupata da democristiani e comunisti. Il crollo della Prima repubblica ha visto poi l'ascesa di due personaggi di orientamento politico opposto: un leader ex comunista come Massimo D'Alema e un imprenditore come Silvio Berlusconi. Ma, trascorsi vari anni, possiamo dire che quella rivoluzione è rimasta nel cassetto. Forte è dunque l'esigenza di domandarsi se esista e dove si fondi la tradizione del liberalismo italiano. Spunti per una risposta si trovano in queste acute pagine di Massimo L. Salvadori, dedicate ad alcune tra le più eminenti figure di politici e intellettuali liberali del nostro paese. Nella loro opera si rispecchiano vicende e caratteristiche di un liberalismo fatto di istituzioni liberali dapprima segnate dall'impossibilità di giungere a maturità, poi soppresse dal fascismo e infine rinate in veste democratica. Un liberalismo mai compiuto, a causa del perpetuarsi di sistemi politici "bloccati", che ne hanno sacrificato l'anima stessa: un confronto dialettico tra forze di governo e forze di opposizione capace di dar vita a "normali" alternative di governo.
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Dettagli

2011
1 settembre 2011
192 p., Rilegato
9788860366665

Voce della critica

Il libro di Massimo Salvadori, di fronte al ricorrente e "chiassoso invocare una rivoluzione liberale" – tanto invocata quanto mai attuata –, si interroga sulla cultura e la politica liberali in Italia, "sugli ostacoli che hanno impedito al liberalismo italiano come pratica di governo di raggiungere la maturità, di dar vita insomma come in altri paesi a un sistema compiuto". Questa riflessione è altresì mossa dalla necessità per il nostro paese "di misure di ispirazione genuinamente liberale al fine di migliorare il funzionamento delle istituzioni, allargare l'ambito di diritti di libertà e di diritti civili". Attraverso una serie di saggi (alcuni editi e parzialmente rielaborati, altri inediti) dedicati ad alcune delle più eminenti figure di politici e intellettuali liberali italiani (Cavour, Croce, Einaudi, Matteucci, Abbagnano, Bobbio), Salvadori indaga le specificità e i limiti, le anomalie o "eccezioni" del liberalismo italiano. È noto che dopo il 1989 – cioè dopo il crollo dello storico antagonista del liberalismo – i pensatori variamente riconoscentisi nella dottrina liberale, la cui identità si configurava (e reggeva) anche grazie a quella stessa contrapposizione, abbiano avvertito l'esigenza di una reinterpretazione della "vera" identità del liberalismo. All'insegna della domanda "che cos'è il liberalismo?" o "come si distinguono i veri dai falsi liberali?", abbiamo assistito a una copiosa proliferazione saggistica e a una serie di dibattiti ben lungi dall'essere terminati. Il libro di Salvadori non muove tanto da queste domande, né da esigenze di natura "identitaria", ma da una concezione ben precisa di cosa debba essere un sistema politico liberale, assunta a paradigma e norma di giudizio per misurare l'"eccezione" italiana. Il "limite strutturale del nostro liberalismo" è quello di "essere stato l'espressione di pratiche di governo e di un movimento ideologico e culturale cresciuti ignorando il tratto e il compito essenziali dei sistemi liberali maturi: dare luogo a 'normali alternative di governo' tra schieramenti politici in reciproca competizione ed egualmente legittimati a reggere le redini del potere". Il paradigma di giudizio rinvia al "nucleo forte della teoria liberale europea e americana sette-ottocentesca", fondata sulla convinzione che un sistema liberale funzionante richieda la compresenza di tre condizioni necessarie: il riconoscimento delle libertà fondamentali, per "gli individui e i raggruppamenti collettivi", in difesa dall'arbitrio del potere e per sollecitare lo sviluppo del pluralismo in tutti campi; il consenso popolare, quale base della legittimità del governo, organizzato dai partiti attraverso il ricorso periodico a libere elezioni ed espresso dalla maggioranza parlamentare; il meccanismo di equilibrio o dei checks and balances fra i poteri. Nondimeno, avverte Salvadori, questa istanza di natura istituzionale, che ritorna in gran parte del libro – dalla polemica Croce-Einaudi alla critica di Bobbio (e poi di Sartori) al liberalismo crociano – è necessaria ma non sufficiente per la piena "maturità" di un sistema liberale: esso ha bisogno di "quelli che potremmo definire il suo spirito e la sua materia vitali", cioè la presenza "di schieramenti che si riconoscano nello stato e nelle istituzioni rappresentative, che diano a esse legittimità", che quindi possano sostanzialmente, e non solo formalmente, "concorrere in vista dell'esercizio del potere". L'anomalia risiede dunque nel fatto che, sin dalla proclamazione del Regno d'Italia, le forze di governo e di opposizione, messe di fronte alle sempre risorgenti "forze dell'anti-Stato", invece di dar luogo a un'autentica dialettica politica basata sull'alternanza, si perpetuarono in un monopolio o oligopolio di potere, costituendo un regime politico "bloccato". Quel poco di mutamento avvenne solo con la nota logica del "trasformismo". Ad alcuni dei più grandi liberali italiani è poi mancata la "consapevolezza" che ciò costituisse un fatto patologico – anzi, in alcuni casi il trasformismo venne trasfigurato ideologicamente come un elemento positivo –, sicché "il liberalismo zoppo dell'età prefascista rimase zoppo anche nell'età postfascista". Attraversato dall'opposizione "liberalismo conservatore"/"liberalismo progressista", il libro si chiude con l'"ultimo grande e innovativo esponente della tradizione liberale italiana", Norberto Bobbio, e con una citazione di quest'ultimo che compendia "le delusioni del liberaldemocratico progressista": "È bello, forse anche incoraggiante, chiamare i diritti dell'uomo (…) una grande invenzione della nostra civiltà, ma (…) sono un'invenzione che rimane più annunciata che eseguita. (…) Le società libere, giuste e felici non sono mai state attuate, e, a giudicare da quello che avviene ogni giorno sotto i nostri occhi, la loro attuazione è più lontana che mai". Paolo Silvestri

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Conosci l'autore

Massimo L. Salvadori

1936, Ivrea

Massimo Luigi Salvadori è professore emerito all’università di Torino, dove ha insegnato Storia contemporanea e Storia delle dottrine politiche. Tra i titoli da lui pubblicati ricordiamo Cinque minuti prima delle nove (Claudiana, 2014), Democrazia. Storia di un’idea tra mito e realtà (Donzelli, 2015) e Storia d'Italia. Il cammino tormentato di una nazione 1861-2016 (Einaudi, 2018).

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