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Liberi di scegliere. Due racconti teatrali - Alessandra Dino,Licia A. Callari - copertina
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Liberi di scegliere. Due racconti teatrali - Alessandra Dino,Licia A. Callari - copertina

Descrizione


"Due storie: quella di una collaboratrice di giustizia e quella di un prete di borgata. Due personaggi: Carmela, figlia, moglie, madre, con un vissuto di donna che si articola in un ambiente saturo di presenze maschili e di violenza mafiosa, dove la ribellione vuol dire perdita del riconoscimento sociale, emarginazione o morte sicura. E poi c'è Don Pino, prete per vocazione e parroco per convinzione. Nel territorio della sua parrocchia il potere è in mano a un clan che utilizza la sopraffazione e l'illegalità a proprio piacimento, sostituendosi alla legge. Carmela e Don Pino sono i protagonisti di due narrazioni teatrali, due figure che, attraverso un faticoso percorso individuale, si sono riappropriate della propria identità, esprimendola con il coraggio di una scelta di cui sono disponibili ad accettare tutte le drammatiche conseguenze che essa comporta." (dalla prefazione di Filippo Amoroso)
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Dettagli

2010
28 dicembre 2010
86 p.
9788857505077

Voce della critica

  Dicono che la pazienza abbia un limite. È vero: la pazienza ha un limite; e il limite della pazienza è la pazienza stessa. La pazienza è un limite. Ed è un limite che ha una precisa connotazione politica: far accettare tutto quello che accettabile non è, l'inaccettabile; non serve a molto altro. Senza di essa, sarebbe impossibile mascherare tutto l'orrore delle nostre scelte. Diventerebbe tutto troppo nitido e troppo insopportabile. La pazienza, a conti fatti, è potere, potere distillato e mescolato con la nostra quotidianità fino a sembrare qualcos'altro. Il degrado che abbiamo raggiunto è la somma esatta di tutte le pazienze con cui abbiamo convissuto e conviviamo, di tutto l'inaccettabile che accettiamo giorno dopo giorno. Liberi di scegliere. Due racconti teatrali, il libro che raccoglie i due testi scenici di Alessandra Dino e Licia A. Callari, per la collana "Eterotopie" della Mimesis, parla di questo limite, ne esplora le forme e le pratiche che si dà all'interno del sistema mafioso, mediante due micro-storie: quella di Carmela Rosalia Iuculano, donna cresciuta, suo malgrado, dentro un universo di valori e di riferimenti violento e prevaricante, sposata con un mafioso pur di fuggire all'oppressivo dominio paterno, divenuta madre e poi donna di mafia, e poi ancora collaboratrice di giustizia, attraverso un percorso umano complesso e contraddittorio; e quella di don Pino Puglisi, prete di periferia a Palermo, ucciso con più colpi di pistola alla nuca, dal latitante Salvatore Grigoli e da Gaspare Spatuzza per ordine dei capimafia Filippo e Giuseppe Graviano. Carmela e don Pino sono due personaggi scissi, lacerati, la cui esistenza è attraversata da una frattura a partire da un preciso elemento di rottura. Nel caso di Carmela, il punto di non ritorno è rappresentato dal passaggio alla vita di collaboratrice con tutto ciò che ne consegue in termini di perdita d'identità, riconoscimento sociale, rischio per la propria incolumità e per quella dei propri figli. Nel caso di don Pino, il punto di non ritorno consiste nella sua scelta di diventare prete e quindi nella sua adesione a un universo di valori e di riferimenti, quello cattolico, contrapposto a quello mafioso che ha caratterizzato la sua infanzia e la sua prima adolescenza. In entrambi i casi si tratta di un passaggio brusco da un sistema di interpretazione della realtà a un altro, che per alcuni versi ne raccoglie e ne rielabora alcuni aspetti, ma che si pone comunque in netta contrapposizione con il precedente, capovolgendone gli stessi presupposti fondativi. È un processo doloroso, carico di dubbi, incertezze e di domande spesso irrisolte. Carmela e don Pino si muovono sulla scena interrogandosi continuamente sul senso della propria scelta, su come essa si rifletta sul loro vissuto quotidiano, sulle privazioni che devono sopportare a causa di tale scelta, sulle proprie contraddizioni e sulle proprie fragilità. L'altra presenza fondamentale in entrambi i testi scenici è naturalmente la mafia, con la sua capacità di essere contemporaneamente sistema di potere e di profitto. In entrambe le vicende, i mafiosi sono allo stesso tempo professionisti della violenza da un lato, ed esperti di relazioni sociali dall'altro. Il loro sistema di regole e di controllo non è basato semplicemente sulla mera coercizione, come tanta letteratura spesso propugna, ma anche e soprattutto su forme variabili (oggi si direbbe "") di consenso sociale. All'interno del sistema mafioso, circolano dunque forme di capitale – economico, sociale, culturale ‒ che vengono continuamente convertite in "capitale simbolico" a beneficio dell'organizzazione. Quest'ultimo è determinante per legittimare il potere mafioso, con la sua capacità di costruire una visione accettata e riconosciuta dell'ordine sociale sotteso alla mafia. Per questo figure come quella di Carmela e di don Pino, nella loro esperienza umana e civile, diventano un pericolo tanto grande per l'organizzazione criminale, perché si oppongono al suo "farsi visione del mondo", al suo diventare cultura, al suo diventare sistema di relazione e rapporti umani, al suo strutturarsi, insomma, come ordine sociale, che rappresenta la forza ultima della mafia. Le cronache, in questi casi, parlano spesso di "". Forse sarebbe più corretto parlare di "", di un continuo venire a patti con la propria fragilità, e tentare, nonostante tutto, di spostare il limite della pazienza ogni volta un po' più in là, semplicemente perché non si può fare altro, perché una volta che si è imparato a leggere la realtà con schemi interpretativi differenti, è impossibile continuare a vivere come prima. È significativo che entrambe le autrici provengano dal mondo della ricerca, docente di sociologia giuridica e della devianza a Palermo, Alessandra Dina, e ricercatrice presso la Facoltà di Scienze della formazione a Palermo, Licia Callari. I due testi non sono conclusi in se stessi, vivono piuttosto come due ipotesi di narrazione, dove la sperimentazione, l'utilizzo di testi giudiziari, di pezzi d'intervista, di brani di testi religiosi sono dati come strumenti di decriptazione della realtà a chiunque voglia utilizzarli o trarne ispirazione per mettere in scena il dramma di quella pazienza che sembra un limite invalicabile per sei milioni di siciliani.   Daniele Zito

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