(Vinci, Firenze, 1452 - Cloux, Amboise, 1519) pittore, scienziato e scrittore italiano. Trascorse la giovinezza a Firenze, protetto dall’ambiente mediceo. Nel 1482 si trasferì a Milano, alla corte di Ludovico il Moro. Tra il 1500 e il 1516 condusse vita errante: fu attivo a Venezia, a Mantova, a Firenze e ancora a Milano; poi a Roma, stipendiato da Giuliano de’ Medici. Morto Giuliano, sul finire del 1516 accettò l’invito di Francesco I a trasferirsi alla corte di Francia. La selva di appunti (circa 5000 fogli conservati in codici di inestimabile valore) che L. lasciò in margine alla sua prodigiosa attività creativa e sperimentale di pittore, matematico, ingegnere, anatomista, fisico, biologo, geologo, interessano più la storia delle scienze e dell’arte che la letteratura. I suoi scritti, tutti in volgare come si addiceva a chi si vantava di essere «omo sanza lettere», posseggono tuttavia anche un notevole valore espressivo, per la ricerca instancabile di un linguaggio che si pieghi alla minuta descrizione scientifica e trasmetta nel contempo la suggestione viva, immediata di un audace e ininterrotto «sperimentare» e «inventare». È appunto il continuo gareggiare della parola con la natura che infonde alla pagina di L. una nota personalissima di febbrile e, a tratti, poetica tensione. I rapporti fra arte e scienza, imitazione e creazione, assumono in L. una ricchezza problematica sconosciuta agli altri umanisti: lo si può desumere, fra l’altro, dal suo Trattato di pittura (insieme di frammenti ordinati da Francesco Melzi e pubblicati per la prima volta in Francia nel 1651), grandioso tentativo di coordinare ogni scienza, ogni riflessione sulla vita, ogni filosofia, entro la scienza, la tecnica, l’ottica del pittore. Meno suggestivi, anche se stilisticamente più accurati, sono altri scritti più dichiaratamente letterari, come le Favole e le Facezie, dove pur si ritrovano l’ansia per l’esattezza dei particolari e lo studio di una disposizione «prospettica» dei vari elementi narrativi.