Peter Wessel Zapffe, alpinista, fotografo, scrittore, filosofo. Conseguì la laurea in giurisprudenza, mostrando precocemente una natura politropa. Probabilmente l’attività che lo caratterizzò maggiormente fu l’alpinismo: sue sono alcune delle conquiste alpinistiche norvegesi, tra cui la cima di Tommeltott e la vetta Hollenderan, battezzata con il suo nome nel 1987. Nel 1933 la rivista “Janus” pubblicò il saggio L’ultimo Messia, sintesi di un’opera più estesa e a tutt’oggi non tradotta, Om det tragiske (1941).
«Considerato un erede del pessimismo di Schopenhauer e un precursore del nichilismo di Cioran, Zapffe ha insistito per circa tre decenni nel sottolineare l’ambiguità strutturale della condizione umana rispetto ai modi in cui la vita si presenta spontaneamente sulla terra: in sintesi, solo l’essere umano sembra animato da una spinta cognitiva causata dalla sua autocoscienza, una sete metafisica che gli impone di individuare e trasmettere ai propri simili risposte convincenti alle domande sul senso della vita e sul significato della morte.» (dalla prefazione di Giuseppe Russo all'edizione del 2024 di L'ultimo messia, Mimesis)