(Caen, Parigi, 1555?-1628) poeta francese. Compiuti gli studi in Francia e in Germania, cercò fortuna a Parigi, mettendosi al servizio di Enrico d’Angoulême. Al seguito del suo protettore si stabilì in Provenza: è a questo soggiorno, durato dieci anni, che risale la sua formazione poetica. Nel 1605 fu accolto a corte come poeta di Enrico IV, cui dedicò Preghiera per il re che va nel Limosino (Prière pour le roi allant au Limousin). Il servizio a corte comportò per M. spostamenti e molte servitù: scrisse versi per i balletti, intervenne nel carteggio poetico del re con le sue amanti, cantò i fasti e i lutti della famiglia reale. Morto il sovrano, Maria de’ Medici trovò in lui il «laudator» della pacificazione. Dopo le gesta militari di Enrico IV, cantò quelle di Luigi XIII nell’ode Al re che va a punire la rivolta degli abitanti della Rochelle (Pour le roi allant châtier la rébellion des rochellois, 1628). È questo uno degli ultimi carmi di una esigua produzione. La rarità del suo poetare spiega, in parte, la sua fortuna: nei salotti come alla corte, M. fece scuola con il suo raffinato lavoro tecnico sul linguaggio. Ma il retore minuzioso e severo conviveva, in lui, con il gentiluomo che le sue stesse Lettere (Lettres) ci presentano libertino nell’amore e impulsivo nella condotta politica.Per M., primo stimolo di poesia non è la tradizione umanistica italiana o l’antichità classica, come per i suoi predecessori, ma la corte e i rapporti cortesi. Il suo linguaggio si innesta sempre su un altro linguaggio, si tratti del carteggio del sovrano o di un balletto in cui inserire dei versi. Ogni libertà dell’immaginazione è bandita: la poesia celebrativa è agonismo sul terreno della parole; le parole sono cifre, semantiche o prosodiche, così come di cifre è fatta la musica che le accompagna. Per la chiarezza e compostezza dei suoi versi, M. fu riconosciuto come un maestro dai «classici» del Seicento. La critica successiva, soprattutto la più recente, pur accettando sotto il profilo storico questo giudizio, tende tuttavia a riscoprire i valori barocchi impliciti nell’impassibile perfezione stilistica di M., sollecitando una definizione della sua scrittura che giustifichi nel poeta il vivacissimo redattore delle Lettere.