Compositore. Poco si sa della sua vita. Nipote per parte di madre di Carlo Borromeo e per parte di padre del cardinale Alfonso Gesualdo, si rese celebre per due fatti, entrambi legati alla sua vita sentimentale. Sposatosi con Maria d'Avalos, e sorpresala mentre lo tradiva con Fabrizio Carafa, uccise i due amanti (1590); allontanatosi da Napoli non tanto per sfuggire alla giustizia quanto per evitare la vendetta dei parenti degli uccisi, sposò in seconde nozze (1594) Eleonora d'Este, nipote di Alfonso ii duca di Ferrara. A Ferrara si legò d'amicizia col Tasso, del quale mise in musica alcune liriche. Formatosi alla scuola di qualche maestro napoletano (forse Pomponio Nenna), G. coltivò l'arte musicale soprattutto per diletto: certo non per esigenze professionali, dal momento che la maggior parte delle sue composizioni venne pubblicata a opera di musicisti della sua piccola corte. Ultimo, forse, dei madrigalisti rinascimentali, G. ha lasciato una produzione che comprende ca 110 madrigali a 5 voci (incompleto ci è giunto un libro di madrigali a 6 voci), 2 libri di mottetti e uno di responsori. L'esperienza rivoluzionaria dei madrigali a 5 voci, divisi in 6 libri (1594-1611), fu ben compresa dai contemporanei, se S. Molinaro, il grande liutista genovese, li volle pubblicare in un unico volume e, caso singolarissimo per l'epoca, in partitura (1613). Punto di partenza del linguaggio di G. è il ritorno al cromatismo, già caro ad alcuni maestri attivi a metà del '500: la sua opera, che taluni vorrebbero definire già tipicamente barocca (non foss'altro, per l'insistenza con la quale egli affrontò il tema della morte e del dolore, quasi esaltandosi in atteggiamenti ipocondriaci), è in realtà un prolungamento della maniera rinascimentale, peraltro con alcune attenuazioni e correzioni in particolare circa il rapporto poesia-musica. G. mira all'espressione del sentimento più che alla descrizione, alla pittura musicale delle singole parole; egli evita codesto simbolismo musicale (che si traduceva nei cosiddetti «madrigalismi») mediante l'impiego prevalente della tecnica degli accordi per successioni, che a volte paiono persino casuali, tanto sono audaci e imprevedibili. Di qui il carattere statico di gran parte delle sue composizioni, fatte di brevi frasi, spesso persino prive di temi. Se manieristico appare l'uso dei blocchi accordali e delle sfumature armoniche dissolventi, il risultato fonico è suggestivo ed è, per di più, sottolineato da uno stile vocale declamatorio, che pone G. agli antipodi delle precedenti esperienze madrigalistiche di un Marenzio o di quelle contemporanee di un Monteverdi.