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Bellissime riflessioni sulla vita e sulla morte
Il libro esaudisce un proposito che Canetti aveva espresso forse già dalla morte prematura del padre, avvenuta quando lui aveva solo sette anni; o più probabilmente dalla scomparsa della madre, a cui era morbosamente attaccato: “Voglio riprendermela dalla bara, dovessi anche allentare ogni singola vite con le labbra… Dove sono le sue ombre? Dov’è la sua collera? Io le presto il mio respiro. Lei camminerà con le mie gambe”. Forse a partire da quel tragico e devastante lutto, Canetti decise di diventare un “Todfeind”, un nemico della morte, uno spregiatore della dissolvenza nel niente: non solo del proprio inevitabile finire, ma dell’annullarsi di qualsiasi fibra vivente, vegetale, animale, umana. La sua prometeica ribellione ha preso inevitabilmente per oggetto ogni illusoria e ingannatrice religione, ogni divinità di qualsiasi credo, sbeffeggiata e insultata per aver creato la morte, per averla permessa, per non essere stata capace di vincerla. “Prima o poi troverò frasi che faranno vergognare Dio al mio cospetto. A quel punto non morirà più nessuno”. L’impotenza e l’indifferenza del cielo fa sì che si crei una solidale alleanza tra le creature, legate affettuosamente tra loro da vincoli di amore e amicizia: alle persone, amiche e sconosciute, lo scrittore guarda con tenerezza e pietà, proprio perché consapevole della loro indifesa transitorietà. Amore per gli esseri umani e per ogni aspetto dell’esistenza, passione viscerale per l’attimo presente, il passato da recuperare, il futuro da attendere: “C’è in me, fortissimo e potentissimo, il senso della santità di ogni vita, davvero di ogni singola vita… Io non ammetto la morte di nessuno…”. Canetti ci lascia una testimonianza contro la rassegnazione, un lascito programmatico perseguito per cinquant’anni, proposito mai abbandonato eppure mai rifinito del tutto, quasi a dimostrare che anche la scrittura non deve accettare la conclusione, ma sempre rinnovarsi, farsi dono gratuito e irricambiabile: resistenza.
Lo sto leggendo, sfogliando, annotando, rileggendo, in questi giorni. Un libro vitale, grande, di uno scrittore forte, potente. Solo chi ha il coraggio di vivere con una lucidità e coerenza estreme può affrontare questo tema, in centinaia di appunti, passaggi, frasi, aforismi, raccolti da una molteplicità di quaderni, sino a darne un affresco che emerge, chiaro e totale, dalle pagine e dalla vita di questo grande autore. Passi e momenti di tesa e assoluta lucidità e visone, tra i tanti, possibili, ne scelgo uno, per me definitivo, di lancinante verità e necessità: " Ai tedeschi, i sei milioni di ebrei assassinati sono entrati nella carne e nel sangue; non ci sarà più un solo tedesco che non sia anche ebreo", ( p. 48).
Recensioni
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“Si muore troppo facilmente. Dovrebbe essere molto più difficile morire”, scrive Elias Canetti in un’annotazione del 1942. Se mai è esistito un nemico della morte, questi ha vestito i panni dello scrittore bulgaro, di origini ebraico-sefardite e di lingua tedesca che nel 1994, quasi novantenne, dopo aver tentato tutta la vita ad affrontare la fine – non solo la propria ma di tutta l’umanità – a viso aperto, per ironia della sorte, si è spento nel sonno. La morte lo ha colto mentre era indifeso: le sue armi si trovavano ben dispiegate sulla scrivania, consistevano in una sfilza di matite appuntite sempre accuratamente temperate, pronte all’assalto in ogni momento. Canetti era ossessionato dall’esperienza della morte, soprattutto dopo la perdita improvvisa del padre a causa di un infarto, quando egli aveva solo sette anni, cui si sono aggiunti nel tempo altri lutti dolorosi. Dopo la scomparsa della madre giura a se stesso di scrivere contro l’inaccettabile, un’idea che comincia a concretizzarsi a partire dal 1942, durante l’esilio londinese, quando immagina il libro contro la morte: un’impresa piuttosto inusuale, paragonabile nella sua radicalità soltanto al saggio filosofico-antropologico Massa e potere, alla cui stesura lavorò per ben trentotto anni. Tuttavia, nonostante un impegno assiduo protrattosi fino alla fine dei suoi giorni, questo progetto monumentale rimase incompiuto: non riuscì mai a formulare la prima frase, a definire una struttura definitiva, a mettere il punto finale. Negli ultimi anni cominciava ad affacciarsi la consapevolezza che una tale opera avrebbe trovato forma solo nelle mani dei posteri, un modo neanche troppo originale per sopravvivere alla propria fine biologica attraverso la pubblicazione postuma. E infatti, il libro di una vita è venuto alla luce raccogliendo molti dei testi concernenti il tema della morte, in gran parte inediti, circa il 70 per cento, grazie alla collaborazione della figlia di Canetti, Johanna, del suo biografo Sven Hanuschek, del germanista Peter von Matt e di un piccolo team editoriale: Das Buch gegen den Tod, pubblicato in Germania tre anni or sono, esce ora per Adelphi. Il libro di sicuro non è la lettura adatta per chi fosse in cerca di consigli su come affrontare al meglio il trapasso. Su questo punto lo scrittore è categorico: “Non posso amare nessuno che accetti la morte o la metta in conto”. Concretamente il volume si presenta come una raccolta di annotazioni e riflessioni che l’autore intraprende ora con se stesso, ora intrattenendo un dialogo continuo con vari interlocutori: citazioni, brevi racconti, frammenti, invettive rabbiose e illuminazioni improvvise, il tutto presentato in ordine cronologico. Tanti sono i colpi che Canetti ha inflitto giorno per giorno alla sua acerrima nemica, tuttavia, non gli fu mai concesso di scagliare quello finale. Egli non pensava certo di poter uccidere la morte, ma la sfidava trovando continuamente un modo per affermare la vita: “Troppo poco si è riflettuto su ciò che, dei morti, resta davvero vivo, disperso negli altri”.
Recensione di Jelena U. Reinhard.
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