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Descrizione


Dalla formazione sui classici del marxismo e del liberismo, alle responsabilità di coordinatore della programmazione economica del centro-sinistra, al difficile ruolo di ministro dell'Ambiente nel momento di maggiore vitalità delle lotte ambientaliste, la vita di Giorgio Ruffolo è un racconto di scommesse fatte e non sempre vinte. Si trova ad agire da protagonista in momenti di svolta radicale per le sorti della repubblica, a volte nell'ombra, da tecnico, a volte sotto i riflettori da ministro o eurodeputato. Il racconto si snoda attraverso tappe che vanno dalla sua formazione, durante la seconda guerra mondiale - le letture, gli incontri, un antifascismo sempre più convinto che matura attraverso Marx e Salvemini -, ai primi incarichi pubblici, nell'Ufficio studi della Bnl, fino alla nomina a ministro nel 1987 e poi all'elezione a parlamentare europeo. La descrizione dell'ambiente, le biografie dei primi burocrati della repubblica si alternano al racconto di un'Italia che cambia, soprattutto nei costumi. La trama si arricchisce di considerazioni e documenti che consentono di toccare con mano periodi estremamente complessi della storia d'Italia: la pionieristica fase della programmazione, osteggiata dai grandi partiti di massa e dalle manovre dei grandi "monopoli" italiani; la morte di Mattei, ricordato attraverso il lavoro comune, i viaggi, il problema del petrolio italiano e il ruolo giocato dai paesi arabi e dai servizi segreti francesi nella sua tragica fine.
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Dettagli

2007
14 ottobre 2007
144 p.
9788860361677

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alberto pierobon
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Il tema ricorrente è la programmazione che coinvolge l’A. nelle sue esperienze, negli anni di formazione (anche trotzkista), dalla BNL all’ENI, nel partito socialista, nelle istituzioni ministeriali e non (es. il CIPE). La programmazione trovava barriere culturali e partitiche, nei suoi pionieri le correnti riformiste del centro sinistra, tra il keynesismo-socialista (Fuà, Sylos Labini,ecc.); quello cattolico coniugante l’economia di mercato con il solidarismo sociale (Saraceno) e infine quello liberale raggruppato attorno agli amici del “Mondo” (La Malfa,Rossi,Scalfari) e al gruppo degli olivettiani. Allora come oggi muovere l’amministrazione era come dare calci a un vecchio elefante. Per non parlare dell’impresa pubblica degenerata nella commistione con la politica. Ma l’ENI (nei cui bilanci si occultavano utili) non era soltanto un impiego era anche una grande battaglia politica che spiega anche il suo monopolio, e fa capire il finanziamento a partiti e giornali, se non la corruzione.Epperò l’ENI e l’IRI costituirono nel dopoguerra il paradigma del capitalismo manageriale dinamico rispetto a un capitalismo proprietario chiuso e arroccato nel suo protezionismo bigotto. L’era Craxi (tra affari e scandali) fa dire a Dino Gentili“ricordati che per fare il socialista onesto bisogna essere ricchi”. Nel 1987 diventa Ministro dell’ambiente, nell’ecologia vista da lui come attiva o creativa, sul problema dello sviluppo delle città-regioni, eppur ringrazia le catastrofi ambientali, poiché l’emergenza gli consente di assumere posizioni nuove (es.navi dei veleni, legge parchi, rifiuti pericolosi,ecc.). Poi al Parlamento europeo, in una Italia priva di immaginazione. Per l’A.stare a sinistra è stata una scelta esistenziale non ideologica, nell’opporsi a prepotenza e ingiustizie. Se il mondo è fatto in due stanze ove in una si spreca e nell’altra si crepa: stare a sinistra per lui significa non accettarlo. L'A. ricorda qui molte persone, fatti, avvenimenti, percorsi.

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Voce della critica

Il colloquio che Ruffolo ha intrattenuto viene trascritto senza incuriosite domande o interrogative sollecitazioni, e quindi non si sa fino a che punto sia responsabilità dell'intervistato l'elegante tono di leggerezza, che vela ellitticamente occasioni mancate e sinceri rimpianti più che lumeggiare le ragioni profonde degli scontri o delle sconfitte. Finendo così per risolversi in un promemoria che parla, più che ai giovani, a quanti le vicende evocate hanno conosciuto e, magari, vissuto.
L'espressione scelta allusivamente per il titolo fu coniata da Amintore Fanfani, nel 1964, per bocciare con grossolana ironia le linee di programmazione patrocinate dal ministro del Bilancio Antonio Giolitti. Il quale, per Ruffolo, è stato un punto di riferimento costante, fino alla candidatura del Midas, che nell'accidentata toponomastica delle tortuose strade del socialismo italiano, indica la votazione che segnò, il 12 luglio 1976, l'ascesa alla segreteria di Bettino Craxi. Su di lui Ruffolo detta un severo giudizio, di quelli che vale la pena ritenere. Anzitutto gli nega la qualifica di modernizzatore e gli rimprovera una visione della politica tutta incentrata sui rapporti di forza e la convinzione che "la forza fosse in primis potenza finanziaria": "L'illegalità – aggiunge – in tal modo diventava non un costo ma un profitto della politica". Anche su Riccardo Lombardi appare più aspro di quanto ci si attenderebbe: malgrado l'invocato pragmatismo, osserva, ebbe una visione "cazzottistica" – brutto neologismo – della politica, alimentata da un'assai ardita insistenza sulle "riforme di struttura" quali strumenti finalizzati allo scardinamento dell'assetto capitalistico.
Del resto, anche chi pronuncia questa amara presa di distanza fu abbagliato dalle sirene del trotzkismo e quindi non fu da meno nel sognare un'alternativa di sistema. Sulla quale non manca di scherzare, tratteggiando con humour sagome e equivoci. Ernest Mandel, inflessibile economista con tendenze al talmudismo, se n'era tornato da Milano contentissimo, perché aveva letto sui muri un mucchio di scritte attestanti una sorprendente passione internazionalista. Senonché Inter non era abbreviazione per l'Internazionale. Di Cornelius Castoriadis rammenta il "crapone calvo e lucido". Davvero sintomatico il lapsus in cui cade – o è innocente svista dell'intervistatrice? – parlando proprio della rivista da costui diretta. La quale da "Socialisme ou barbarie" diventa "Socialisme et barbarie". Il tremendo errore fa emergere le ombre di un imbarbarimento che non ha riguardato soltanto i regimi autoritari di un socialismo che si pretendeva "reale".
Da aggiungere che pseudonimo di Castoriadis non fu il musicale Pierre Boulez, ma Pierre Chaulieu e talvolta anche Jean-Marc (non Jean-Marie) Coudray e altri. Si sa che la memoria gioca di questi scherzi, ma il criterio teorizzato da Rossana Rossanda, secondo cui gli abbagli di cronologia e nominazione vanno salvaguardati come intangibili documenti è editorialmente più che discutibile. I quattro nipoti ai quali il volumetto è rivolto rischiano di incappare in evitabile confusione. E con loro molti lettori di queste oneste pagine di critica riflessione. Roberto Barzanti

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