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Roma nell'età repubblicana
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Descrizione


Fra il sacco della città nel 390 a.C. e la metà del primo secolo a.C., Roma procede alla conquista dell'Italia intera e poi dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Guida il bellicoso stato romano un'oligarchia determinata e tenace, gelosa dei propri privilegi ma nello stesso tempo aperta alle sollecitazioni provenienti dalle civiltà contigue, in primo luogo di quella greca. Di questa vicenda l'autore fornisce un resoconto soffermandosi con particolare attenzione sulla dinamica istituzionale e sociale, sulle tensioni interne all'oligarchia, sui rapporti tra patrizi e plebei, e tra Roma e le popolazioni sottomesse e alleate, fattori che stanno alla base sia della politica vittoriosa dei primi secoli repubblicani sia del precipitare nell'anarchia.
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Dettagli

2
1995
284 p.
9788815047205

Valutazioni e recensioni

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Estelgard
Recensioni: 3/5

Onestamente il testo che ho letto e studiato per l'esame di storia romana non mi ha soddisfatto molto. Gli eventi principali e le date salienti sono descritti con precisione, ma a volte manca tutto il resto, cioè l'esame delle dinamiche e delle cause che hanno portato a certe situazioni; questi punti sono fondamentali nella trattazione di un periodo storico, quindi l'assenza queste parti rendono il libro un susseguirsi di fatti con poche spiegazioni e poco inseriti nei contesti, economici, religiosi e politici del momento.

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Voce della critica


(recensione pubblicata per l'edizione del 1984)
recensione di Roda, S., L'Indice 1985, n. 2

Senza alcun dubbio il progresso degli studi antichistici per quanto si riferisce alla storia di Roma repubblicana è stato negli ultimi decenni assai più lento e ritardato rispetto ad altri periodi storici cronologicamente contigui, come l'età alto-imperiale o la tarda antichità. Le ragioni di tale fenomeno sono varie e complesse: a livello generale un'ovvia spiegazione può risiedere nella carenza quantitativa e qualitativa delle fonti documentarie, che costringe lo studioso dell'età repubblicana ad operare per lo più in condizioni di partenza oggettivamente più difficili di chi invece si occupa di questioni relative ad epoche storiche immediatamente successive. Non bisogna tuttavia sottovalutare il peso di situazioni contingenti e specifiche, che pure hanno sicuramente concorso in varia misura a determinare un simile stato di fatto. Nel caso dell'Italia, ad esempio, occorre tener conto dell'influenza fortemente negativa e condizionante che ha esercitato sugli studiosi del dopoguerra l'abuso strumentale di cui era stata fatta oggetto nel ventennio precedente la storia di Roma e, in particolare, la storia dell'età repubblicana in quanto storia della progressiva affermazione della superiorità e del potere di Roma e della creazione dell'impero. In altre parole nella crisi "produttiva" e nei ritardi strutturali della storiografia romano-repubblicana in Italia ancora oggi si risentono gli effetti prolungati di quella sorta di saturazione e di crisi di rigetto che, conclusasi l'epoca fascista, distrasse l'attenzione di molti antichisti da un periodo storico per troppi anni considerato soprattutto in funzione della mitologia trionfalistica di regime e confinato spesso - salvo pur importanti eccezioni - nei limiti stravolgenti di un'aneddotica del "grande esempio" stereotipo, insistentemente e propagandisticamente ribadito.
In ogni caso, comunque si dipani l'intreccio delle motivazioni generali o specifiche, il più tiepido interesse suscitato dalle vicende di Roma repubblicana rimane una realtà oggettiva, facilmente verificabile e commisurabile anche in rapporto alla cronica scarsezza di opere complessive, sull'intero periodo della repubblica, che si propongano come sintesi compiuta della ricerca scientifica più recente; su un piano diverso, cioè, sia della manualistica scolastica, sempre e comunque costretta da un rigido impianto didattico-programmatico e nozionistico-cronologico, sia di certa divulgazione corriva, che spesso sacrifica rigore e precisione storica sull'altare di malintese e mal corrisposte esigenze di semplificazione. In questa prospettiva, dire che "The Roman Republic" di Michael H. Crawford, pubblicato per la prima volta a Londra nel 1978 e la cui traduzione sotto il titolo di "Roma nell'età repubblicana" compare oggi nell'ambito dell'agile "Storia del mondo antico" de Il Mulino, abbia finalmente colmato un vuoto è forse eccessivo, ma si tratta certamente del prodotto editoriale che negli ultimi anni meglio ha saputo, per caratteristiche strutturali, contenutistiche, di metodo, di stile e di linguaggio, inserirsi proprio in quella fascia intermedia fra manualistica didattica e divulgazione banalizzante di cui abbiamo appena parlato.
Il libro di Crawford (uno dei più brillanti antichisti inglesi delle ultime, feconde generazioni, formatosi alla scuola oxoniense dell'Oriel College e dal 1969 docente di storia antica a Cambridge, assai noto in Italia, dove ha a lungo lavorato e dove ha, fra l'altro, di recente - 1982 - pubblicato, per i tipi di Laterza, un importante studio su "La moneta in Grecia e a Roma") mantiene, infatti, uno schema in larga misura modellato su! continuum cronologico, ma si distingue da un manuale fin dall'intenzione, dichiarata e coerentemente perseguita nel testo, di non narrare più o meno brillantemente una semplice successione di fatti e le loro eventuali interconnessioni, ma di cogliere e seguire nel loro porsi ed affermarsi le caratteristiche specifiche di un periodo storico dai tratti fortemente distintivi e peculiari rispetto alle realtà precedenti e susseguenti. Crawford privilegia, insomma, all'interno del percorso cronologico, l'analisi e la verifica dei fenomeni di lunga durata e degli aspetti sociopolitici, socioeconomici, ideologici e culturali che connotano la parabola di sviluppo e decadenza dello stato repubblicano dal V secolo a.C. ad Augusto. In particolare, come già nell'introduzione si avverte con puntuale nitidezza, l'autore si sforza di chiarire i meccanismi attraverso i quali tra l'invasione gallica del 390 a.C. e la metà del secondo secolo a.C. "un esercito part-time di contadini romani, sotto la guida dell'oligarchia dominante, conquistò prima l'Italia e poi il Mediterraneo". La fedeltà del popolo romano ai suoi comandanti, che la partecipazione al bottino e la distribuzione delle terre conquistate assicuravano, aveva reso possibile un evento di tale straordinaria portata. Con la progressiva espansione dell'impero, tuttavia, mentre da un lato divenne sempre più difficile per le classi inferiori accedere a queste ricompense, scoppiarono sempre più violente e insanabili rivalità in seno all'oligarchia di potere. Gli eserciti romani di contadini-soldati furono trascinati nei conflitti che le rivalità generarono e, tra il 133 a.C. e il 31 a.C., la repubblica romana precipitò nella crisi e si dissolse. Un vero e proprio cataclisma quello che sconvolse e annientò tra la seconda metà del II e la prima metà del I secolo a.C. il sistema di governo con cui Roma era stata retta per 450 anni: le guerre civili nell'arco di pochi decenni - dato questo la cui evidenza drammatica non ha spesso trovato la giusta sottolineatura - decimarono la popolazione libera di Roma e dell'Italia. Su uno sfondo storico, ove con insolita ed emblematica precisione si delineano i contorni della crescita e del declino di un modello statale, Crawford sottolinea l'emergenza di alcuni aspetti di grande rilievo: in primo luogo la flessibilità dell'ideologia dominante nella classe dirigente romana, che consentì trasformazioni profonde, compresa quella che portò alla soppressione di fatto dell'ordinamento repubblicano; sotto il segno di una tradizione che si esprimeva nella dialettica a maglie larghe dei principi di libertas/civitas e di dignitas/auctoritas trovarono giustificazione e legittimazione atteggiamenti e comportamenti politici anche di segno opposto, determinati da esigenze economiche, sociali e di classe contrastanti. La conflittualità tra gli uomini politici durante la repubblica fu d'altra parte favorita dal "mancato sviluppo di istituzioni finalizzate al mantenimento dell'ordine", con effetti sconvolgenti allorché nella tarda repubblica si ricorse alla forza per sanare le differenze politiche. In secondo luogo, Crawford richiama l'attenzione del lettore sulla "forza innovatrice" della classe dirigente della repubblica, sia in campo culturale sia in campo politico, e sulla significativa coincidenza fra il periodo centrale dell'ellenizzazione dell'oligarchia romana, che avrebbe lentamente portato allo sviluppo della cultura latina, e l'inizio della spirale inesorabile di rivalità interne, che fin per distruggere il sistema. Largo spazio, infine, viene dedicato al nodo fondamentale delle fonti, di cui non solo si rileva la carenza, ma si sottolinea il costante approccio polemico agli avvenimenti; lo sviluppo della polemica all'interno delle fonti appare anch'esso del resto parte integrante e illuminante della storia repubblicana.

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