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Descrizione


Il presente volume è la raccolta poetica d'esordio di Gian Pietro Lucini (1867-1914), uno dei pochi poeti italiani che, tra Ottocento e Novecento, sia stato capace di proporsi in una prospettiva europea.
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Dettagli

2005
1 ottobre 2005
190 p., Brossura
9788884025050

Voce della critica

Dopo centoundici anni torna in libreria il testo fondativo del simbolismo italiano, in un'edizione davvero impeccabile, che avrebbe fatto felice il suo autore; questi, invece, in vita fu afflitto da una prima (e unica) stampa quanto mai scorretta, di cui si lamentò l'amico Ugo Ojetti. Né a minimo sanamento bastò in quel 1894 l'inserimento dell'errata corrige che, come illustra Manuela Manfredini nella sua nota al testo, dimenticò almeno una cinquantina di refusi; tra questi l'inedito lemma nikilismo finì registrato nel Battaglia, come variante d'autore, rispetto al più frequentato nichilismo , ma in realtà era solo invenzione del proto, in quanto manoscritti e altri testimoni lucani ben frequentati da Manfredini non lo attestano mai.
Questa edizione si raccomanda inoltre per un ricchissimo apparato di commento, scandito in cappelli introduttivi, ricca nota metrica e note fitte di riscontri testuali per ogni singolo componimento del libro, che evidenziano il sofisticato grado di elaborazione poetica di questo giovane Lucini, in minuto dialogo con la coeva poesia italiana e francese. In particolare, Lucini si muove in una zona arcaicizzante del gusto, ben presente tra Carducci e il primo d'Annunzio, sia in ordine alla metrica (la preferenza al sonetto in rima abab e non abba) sia in ordine al lessico, a cui vanno aggiunti i segni di una conoscenza di prim'ordine della coeva poesia francese, quale allora potevano vantare solo d'Annunzio e due liguri ancora da ben rilevare poeticamente, come Mario Morasso e Ceccardo Roccatagliata Ceccardi (anzi, al proposito giova ricordare l'anticipo di Morasso, che nel '93, l'anno prima del Libro luciniano, licenzia a quattro mani con l'amico Gino Borzaghi, le Sinfonie luminose , vero incunabolo simbolista con tanto di dedica a René Ghil).
Nell'ampia introduzione Manfredini affronta, con ricca documentazione, le varie questioni che Il libro delle figurazioni ideali pone e che potremmo ridurre a due motivi essenziali: il rapporto con il modello dannunziano e la proposta di una via italiana al simbolismo. Le questioni sono tra loro connesse, in ragione della prospettiva socialista, ovvero della proiezione verso l'"a venire", come scrive sempre Lucini, nitidamente sottesa a questo libro; e "libro" è decisamente parola quanto mai pregnante, per via del fitto rimando intertestuale tra le varie parti, che configurano uno vero organismo espressivo o un macrotesto, come scrive la curatrice, con evidenti possibili "sovrasensi", che correggono, nel quadro d'assieme, le prospettive dei singoli testi. E dai vari cappelli introduttivi risulta molto chiara una vera e propria "trama", che si snoda dai sonetti d'Oriana, all'insegna della sensualità, a quelli di Gloriana, sub specie rationis , a quelli della Chimera, "araldo della Fantasia e della Conoscenza" e "sfida prometeica al reale" in nome dell'a venire.
Dopo questi primi tre atti, per certi versi a trionfo (del successivo sul precedente), Il libro contempla, nei modi del teatro antico, un intermezzo (della primavera) e le due ultime sequenze ( Madrigali alessandrini e La cantata dell'alba ), che ripropongono dapprima in chiave lirica, poi scenica, il tema amoroso e la sua crisi, ma se "amor è morto al cuore", sigla il coro di fanciulle nella Cantata , l'ultima battuta è al pazzo, guastafeste dell'estasi erotica notturna, che si sottoscrive "né triste, né giulivo, / ma all'A Venire io resto". E sull'inserimento di questo personaggio in un testo quasi parodico della Cantata di Calen d'Aprile dannunziana, accanto ai modelli satireschi della tradizione, vi può essere una fresca suggestione del "puro folle" Parsifal, vincitore sulle floreali e lascive fanciulle del giardino di Klingsor, ora in nome non di una redenzione cristiana, ma di un fideismo socialista. Nel gioco delle simmetrie e di una lussuosa concezione anche decorativa del testo Il libro delle figurazioni ideali si completa di tre testi introduttivi (i due prolegomeni in prosa, uno del sodale Quaglino e uno proprio; un preludio in versi) e di tre testi in versi, in qualche modo, di congedo ( La fantasima , The flour and the leaf , La perorazione ).
Da tutto questo si rafforza anche nella pratica poetica una modalità decisamente a tesi, congrua con la prospettiva dell'autore, tra tarda scapigliatura e apostolato socialista, da un lato, tra mimetismo ed emancipazione della sirena poetica dannunziana dall'altro. Manfredini al proposito chiarisce molto bene la natura tendenzialmente allegorica del simbolismo luciniano, dichiaratamente refrattario ai connotati di allusività e suggestione di Mallarmè e della via francese al simbolismo: sotto la coltre dell'eleganza e della squisitezza, vibra una schematicità educativa, che senz'altro è prospettiva rara e originale all'epoca, ma anche (volutamente) limitante, rispetto all'apertura europea del simbolismo.
Il libro delle figurazioni ideali come lo rileggiamo oggi, grazie a questo poderoso commento, appare ancor più nettamente come una generosa e raffinata opera d'intelligenza e letteratura (anche se non poco indigesta), battistrada di una breve e ibrideggiante stagione simbolista nostrana che da oltre un trentennio (dopo gli studi di Sanguineti e Viazzi) è stata restituita alla storia letteraria, ma che è ancora meritevole di proficuo scavo.

Stefano Verdino

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