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Il libro nero della psicoanalisi - copertina
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Il libro nero della psicoanalisi - copertina

Descrizione


Quaranta autori internazionali sostengono in questo libro tesi che il pubblico italiano non è abituato ad ascoltare. La psicoanalisi è una scienza? No, è una potente e seduttiva fabbrica di favole. La psicoanalisi guarisce? Quando lo fa è spesso per un effetto placebo, o per il buon rapporto che alcuni analisti riescono ad instaurare con alcuni pazienti, e nel caso di molte sindromi è in netto svantaggio rispetto ad altre forme di psicoterapia e alla terapia farmacologica.
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Dettagli

2006
30 novembre 2006
XIV-689 p., Brossura
9788881127955

Valutazioni e recensioni

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Paolo
Recensioni: 1/5

Libro pessimo, per questo interessante. Aiuta a capire quanto in là possa spingersi l'essere umano nell'annullamento della comprensione di sé stesso. Un tentativo di screditare la Psicoanalisi a favore di teorie psicologiche semplici e a portata di tutti. Sarebbe interessante approfondire i motivi personali che hanno spinto miss Catherine Meyer a gettarsi in questa personale battaglia contro il nome di Sigmund Freud.

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Pierfrancesco
Recensioni: 5/5

Imprescindibile strumento di difesa dalla peggior forma di parassitismo: quello degli psicoanalisti.

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Fabio
Recensioni: 3/5

Non si tratta di un libro di semplice lettura per chi non abbia nozioni di base anche perchè piuttosto ponderoso; la struttura in capitoli di diversi autori consente tuttavia di fare un po' di "pick and choose". Volendo, si può partire, per l'argomento, dai libri di Nardone (manuale di sopravvivenza per psicopazienti), che (non da solo) da tempo mettono in discussione l'efficacia (nulla) di un metodo terapeutico che non ha nessun fondamento scientifico. Ricordo, a chi ha giudicato 1/5 questo libro (e si tratta snza dubbio di lettori molto imparzaili...), che il metodo scientifico prevede, giusto per are un esempio sempre in campo medico, che i nuovi farmaci PRIMA vengano testati e - SE funzionano - POI vengano messi in commercio. Con la psicanalisi (e non solo, anche con altri metodi, come il EMDR) si è proceduto AL CONTRARIO, costruendo magari, con molta dialettica tante belle giustificazioni ex-post.

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Recensioni

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Voce della critica

Il libro nero della psicoanalisi è un oggetto vagamente inquietante per il colore (copertina tutta rigorosamente nera, al limite dell'illeggibile, nell'edizione italiana), per le dimensioni (689 pagine) e per il contenuto. Si tratta di una collazione di testi (alcuni recenti altri conosciuti e datati) finalizzati a dimostrare, una volta per tutte, l'enorme truffa perpetrata da cent'anni e più dalla psicoanalisi e dai suoi accoliti ai danni dei pazienti.
Una schiera di agguerriti e in gran parte anonimi autori affronta cinque aree tematiche: L'altra faccia della storia freudiana, Perché la psicoanalisi ha avuto un così grande successo?, La psicoanalisi messa alle strette, Le vittime della psicoanalisi, Una vita dopo Freud. Il filo nient'affatto sottile che lega le sezioni è la tesi su cui si incardina tutto il faticoso lavoro di Meyer: il successo ottenuto nello scorso secolo dalla psicoanalisi non deriva dall'efficacia del suo metodo, ma dall'organizzazione politico-mafiosa della sua struttura di potere. Due sembrano essere state le leve di questo successo: la pressione propagandistica manipolatoria, che ha falsamente presentato la psicoanalisi come una pratica curativa efficace, e la struttura organizzativa del potere psicoanalitico, che si perpetua attraverso una rete gerarchica di natura iniziatica. La psicoanalisi è una pseudoscienza, ci dichiarano senza ombra di dubbio gli autori del testo, e pretendono con questa dichiarazione di retroguardia di stupirci: citano Popper, Wittgenstein (a sproposito) e Grunbaum a sostenere un'epistemologia scientifica ormai superata dalla complessità del dibattito attuale sulle scienze.
Con buona pace del Libro nero la psicoanalisi si è ampiamente sdoganata dai pregiudizi neopositivistici che pure rappresentavano l'ideale freudiano e cammina ora al passo con le attuali epistemologie che vedono nell'inferenza del soggetto che osserva un altro soggetto una complessità che necessita, per essere affrontata, di modelli che tengano conto dell'interdipendenza del campo relazionale che si costituisce fra analista e paziente. La pertinenza dell'epistemologia psicoanalitica riguarda la specificità dei fenomeni che avvengono nella stanza d'analisi, ciò che "accade" tra paziente e analista e non la metodologia della scienza pura: questa si occupa di oggetti, mentre la psicoanalisi si occupa di soggetti (l'apparato per pensare i pensieri dei nostri pazienti insieme al nostro).
La psicoanalisi, come ogni disciplina viva, ha fatto molta strada dai tempi di Freud e stupisce davvero doverlo ancora ribadire; viene da pensare che gli autori che a vario titolo intervengono nel Libro nero della psicoanalisi siano più interessati alla facile critica del freudismo (e del lacanismo) che non allo sforzo delle generazioni di psicoanalisti che hanno via via modificato le prime ipotesi della psicoanalisi. Ne è prova l'ultima sezione del libro, Una vita dopo Freud, che tratta delle scoperte delle neuroscienze le quali dovrebbero, tra l'altro, smentire definitivamente le scoperte freudiane sul sogno. Il lettore attento sa quanto gli analisti (e quelli italiani in prima fila) dialoghino da tempo fittamente con questa scienza (nell'ultimo numero della "Rivista di Psicoanalisi", organo della Società psicoanalitica italiana, è ospitato un lavoro di Vittorio Gallese, Dai neuroni specchio alla consonanza intenzionale: meccanismi neurofisiologici dell'intersoggettività) che ha permesso una felice imbricazione con alcuni postulati della psicoanalisi. In questo senso il lavoro che da molti anni porta avanti Mauro Mancia (per dire il nome più illustre) sul sogno è la solida testimonianza del continuo dialogo fra la psicoanalisi e le scienze a essa contigue. Malignamente si potrebbe ipotizzare che la virulenta (e talvolta francamente ripetitiva e riduttiva) critica a Freud e alla psicoanalisi sia mossa da interessi strategici legati al mercato delle psicoterapie: vengono infatti presentate, nell'ultima parte del libro, le terapie cognitive, la terapia di coppia e l'etnopsichiatria come le uniche possibili alternative al fallimentare trattamento analitico.
Questo detto, occorre ancora sottolineare quanto alcune accuse mosse alla psicoanalisi dagli autori di questo libro siano ancora oggi le leve che permettono il continuo sviluppo della nostra disciplina: il frantumarsi dell'idea dell'analista specchio e l'attenzione sempre crescente al rapporto paziente-analista, il superamento di una concezione intrapsichica del funzionamento della mente che mette totalmente in gioco l'analista nella stanza d'analisi, l'attenzione agli aspetti reali del trauma con le sue riverberazioni nella relazione analitica. Proprio le riconcettualizzazioni attuali sul trauma, che discendono principalmente dal lavoro di Ferenczi, pongono sempre più l'attenzione al rischio, nella ripetizione transferale, di danni iatrogeni per il paziente.
Sicuramente sono stati fatti molti errori (ma quale scienza ne è stata immune?), di cui sono stati vittime i pazienti e i loro analisti, ma proprio da queste esperienze la psicoanalisi ha tratto e trae forza per costruire nuovi modelli al cui centro non c'è più l'analista troneggiante che celebra il suo sapere-potere nel momento ostensivo dell'interpretazione, bensì la coppia analitica che affronta in un comune lavoro le potenti turbolenze emotive che la attraversano. L'analista ha rinunciato alla sua extraterritorialità nella stanza analitica e al suo sapere oggettivante per costruire insieme al suo paziente nuove prospettive evolutive.
Nonostante il monito sempre attuale che ci viene dalla lettura dei resoconti delle tante analisi fallite, Il Libro nero della psicoanalisi ci rimanda dunque una concezione della psicoanalisi ormai tramontata e lontana dall'attualità (almeno nella comunità psicoanalitica italiana), tuttavia ha il pregio, come ogni pungolo, di essere di stimolo per ogni analista a migliorare il proprio apparato di strumenti e modelli teorico-tecnici per mettere sempre più il paziente, i suoi deficit e la sua sofferenza al centro della propria riflessione. Riflessione che, dalla riconcettualizzazone del controtransfert a opera di Paula Heimann negli anni cinquanta e di Raker negli anni sessanta, non può più prescindere dalla persona dell'analista, dalle sue peculiarità individuali, dai suoi limiti e mancanze che, in ogni analisi, vengono messe in gioco e devono essere affrontate con il più alto grado di consapevolezza.
  Carlo Brosio

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