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Di fronte al reiterarsi di interventi sui confini della ricerca scientifica, è difficile sfuggire ad alcuni luoghi comuni che vanno dal chiedersi se si tratta delle stesse domande che il fisiologo Émile Du Bois-Reymond si pose in occasione delle famose conferenze di Lipsia (1871) e di Berlino (1880), ovvero se non si tratti di un modo come un altro per fare i conti con una fine di millennio carica di incertezze. Un traguardo importante è stato intanto conquistato: nessuno che oggi si trovi in una posizione analoga a quella di Du Bois-Reymond – ai suoi tempi uno dei più importanti fisiologi tedeschi – avrebbe il coraggio di sentenziare in merito a una qualsivoglia impossibilità per le scienze naturali di spiegare la natura della materia, o della vita, o della coscienza. E, probabilmente, quando oggi si parla di confini per la scienza, viene piuttosto naturale pensare ai risvolti etici della ricerca e delle sue applicazioni soprattutto in campo biomedico. Comunque, il tema appare alquanto intrigante e offre un comune e immediato terreno di confronto per scienziati, filosofi, teologi ed esperti di comunicazione scientifica, come testimoniano le due raccolte di interventi nell’ambito di due diverse iniziative intese a fare il punto sulle sfide della conoscenza scientifica. Nell’ambito della Decima cattedra dei non credenti promossa dall’Arcivescovo di Milano hanno ragionato con il cardinale Carlo Maria Martini intorno agli Orizzonti e limiti della scienza diversi scienziati, tra cui George V. Coyne, Edoardo Boncinelli, Alberto Oliverio, e filosofi come Giulio Giorello. Di gradevole lettura i contributi, anche se alcuni appaiono alquanto didascalici o fortemente condizionati da punti di vista personali che verosimilmente non riflettono le acquisizioni più significative dell’indagine empirica. In altri termini gli interventi creano soprattutto il contesto per le interessanti riflessioni del cardinale Martini. Questi i punti a mio parere più rilevanti da lui toccati: il rifiuto dell’idea che si debba trovare per forza un accordo tra le credenze religiose e il sapere scientifico; la non incompatibilità tra razionalità scientifica e fede religiosa; e l’individuazione di una possibile analogia tra il principio di elezione, con cui i teologi caratterizzano le "tensioni evolutive" nel "cammino verso la salvezza", e il principio di selezione, che per i biologi è il motore dell’evoluzione. Sul piano logico-razionale va anche considerata la possibilità che un approccio empirico arrivi a spiegare in termini evolutivi la religiosità. Non sono rari gli studi che dimostrano come la devozione religiosa aiuti a far fronte agli eventi stressanti della vita, e come sia inversamente associata con l’insorgenza di stati depressivi e con la dipendenza da alcool e nicotina. E diversi biologi, nonché un’autorevole storico delle religioni antiche come Walter Burkert, esibiscono prove, a livello etologico, antropologico e storico-culturale, di una funzionalità adattativa della religione. Per quanto riguarda, poi, i rapporti tra scienza e fede, rimane il dato empirico – prodotto qualche anno fa da uno studio condotto tra gli scienziati statunitensi – in base al quale il 72,2% non crede in Dio (e il 20,8% si dichiara agnostico), mentre il 76,7% non crede nell’immortalità personale. La percentuale più bassa di credenti è tra i biologi, il 5,5%, la più alta tra i matematici, il 14,3%. Infine, circa i rapporti tra il principio di elezione e quello di selezione, nonostante le numerose metafore che hanno antropomorfizzato la selezione naturale – Darwin stesso equiparava la selezione a "un essere infinitamente saggio" –, rimane il fatto che nel divenire delle forme viventi non c’è un obiettivo finale predefinito e che, a differenza del principio di selezione, quello di elezione appare piuttosto caratterizzato in senso passivo e deterministico. Nondimeno, tale associazione, proposta da un autorevole teologo, appare ricca di suggestioni euristiche. Anche SpoletoScienza, l’iniziativa organizzata dalla Fondazione Sigma-Tau nell’ambito del Festival dei Due Mondi, aveva dedicato gli incontri dell’anno scorso al tema Limiti e frontiere della scienza. Pino Donghi, nella prefazione al volume che raccoglie i contributi dei partecipanti – John D. Barrow, Remo Bodei, Edoardo Boncinelli, Graham Cairns-Smith, John Casti, Paul Davies, Gerald M. Edelman, Aldo G. Gargani, Giulio Giorello, Gerald Holton, Sherwin B. Nuland, Roger Penrose, Steven Rone, Stephen Toulmin –, sottolinea come i dieci appuntamenti annuali della manifestazione spoletina si possano considerare "un significativo laboratorio per la messa a punto di modelli per la diffusione della cultura scientifica". L’edizione di quest’anno ha ulteriormente accentuato questo taglio, essendo stata dedicata all’espressione della scienza, ovvero alle varie forme attraverso cui possono essere comunicate le informazioni, le nozioni e le implicazioni prodotte dall’attività di ricerca sperimentale e teorica. In tal senso, l’idea del limite, o, meglio, l’enfasi retorico-filosofica sulle frontiere e i limiti della scienza, si può pensare che nasca anche dalla frustrazione di non riuscire a mettere in relazione diversi livelli di esperienze conoscitive e a dare un senso pragmatico alla comunicazione della scienza, che contribuirebbe a scavare uno iato sempre più profondo tra le scienze cosiddette umane e naturali, nonché tra il mondo degli esperti e la società. Holton, nel suo contributo, mostra come solo ignorando l’evoluzione storica del sapere scientifico si può giungere a porsi domande insensate come quella sui limiti epistemologici della ricerca empirica. Orbene, a parte l’altro saggio storico-epistemologico – quello cioè dedicato da Stephen Toulmin al fascino che ha esercitato l’idea di stabilità o di equilibrio delle forze nelle teorie dinamiche classiche, e a come questa idea sia stata adottata dal pensiero economico –, la maggior parte degli interventi denuncia uno scarso, se non inesistente, spessore storico. E, forse, è proprio l’astoricità che caratterizza in questo tempo l’approccio ai problemi scientifici un altro dei fattori che inducono a interrogarsi così accanitamente su cosa resta da scoprire e cosa non si potrà mai spiegare. Che si esprime anche nella evidente difficoltà per scienziati appartenenti a diverse discipline, o addirittura all’interno della stessa area di ricerca, a trovare quel massimo comun denominatore necessario a trasmettere un senso effettivo di solidità delle conoscenze empiriche. Di fatto, se sottoposti a una stringente analisi critica, i contributi di Barrow, Casti, Davies, Cairns-Smith e Penrose sulle origini dell’universo e della vita, così come quelli di Rose, Boncinelli ed Edelman sul funzionamento del cervello e sulla natura della coscienza e della mente, rivelano un modo di presentarsi alquanto ortogonale degli approcci fisico-matematici rispetto a quelli biologici, e all’interno degli approcci biologici stessi una certa incomunicabilità su questioni abbastanza dirimenti, come la possibilità di equiparare l’attività neurale a una qualche forma di computazione. Senza voler ridurre a un problema di comunicazione l’origine delle paure oggi diffuse nella società per le presunte minacce della scienza e della tecnologia, risulta da diverse inchieste fatte nei paesi anglosassoni che per l’opinione comune i ricercatori sono cinici e poco affidabili sul piano etico. Se i grandi problemi della scienza, vista sia come impresa conoscitiva sia come sistema di rapporti socioeconomici, diventeranno più sistematicamente oggetto di incontri pubblici e di ricerche espressive diverse da quelle standardizzate dalla comunicazione specialistica e dalla divulgazione, gli scienziati stessi ne ricaveranno notevoli vantaggi. Primo fra tutti, si spera, quello di non essere più considerati alternativamente e acriticamente come dei pericolosi alieni o dei nuovi profeti.
Martini, Carlo Maria, Orizzonti e limiti della scienza. Decima cattedra dei non credenti, Laterza , 1999
Donghi, Pino (a cura di), Limiti e frontiere della scienza, Laterza , 1999
recensioni di Corbellini, G. L'Indice del 1999, n. 10
Esistono limiti oggettivi (tecnici, logici, epistemologici) oltre i quali la ricerca scientifica non può e non potrà andare? I maggiori scienziati, storici e filosofi della scienza a livello internazionale si interrogano in un fitto intreccio di rimandi al cui centro c'è un inusuale e affascinante scambio di opinioni tra quattro fisici (Barrow, Davies, Casti, Penrose) e un chimico (Cairns-Smith), dove il lettore potrà avere l'impressione di spiare dal buco della serratura come la scienza discute al suo interno.
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