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Lingua di terra, l'ultima silloge poetica di Raffaele Niro edita da La Vita Felice con il preambolo di Maria Grazia Calandrone e la postilla di Irene Ester Leo, è peninsulare. Un istmo di poesia, bagnato su ambo i lati, che divide e allo stesso tempo congiunge vasti territori immaginari ed è il raggiungimento di una maturità stilistica evidente. Potenza espressiva e forza creativa nuotano contro corrente fino a raggiungere la riva, trascinando con loro l'espressione individuale. La cancellazione dei confini geografici e temporali attraverso la comunicazione, la parola, il verbo, il verso, la narrazione. La raccolta è un intreccio polivalente di sentimenti e sensazioni con lo stile anzi gli stili inconfondibili di Raffaele Niro, un poeta di cui sentiremo sicuramente parlare in futuro, ed è suddivisa in cinque sezioni, cinque gironi nireschi: Alberi di ricerca, Camminamenti umani, Rovine del tempio di Arcadia, Baia sommersa e Acquaviva. Saliva che si mischia a sangue e sudore, ricerca delle proprie radici, attaccamento ai valori e agli ideali defunti o presunti. Il cambiamento come processo naturale del divenire. Multiformi variazioni di temi, giochi e sperimentazioni linguistiche che raggiungono, oscillando, il vertice dell'equilibrio senza perdersi o cadere nel retorico della retorica. La tensione di una nuova forma di poesia intrisa di visioni e di realtà. La relatività dell'esistere e la memoria dell'essere; gocce d'intimità e la percezione di odori, amori e sapori attraverso metafore di similitudini. La sua casa è la nostra casa, ci invita ad entrare tenendo accostata la finestra, ci invita ad entrare di nascosto, senza farci vedere. Non bisogna fare troppo rumore. La porta per il momento è chiusa, quando usciremo, sarà proprio lui ad aprircela. Il Poeta vuole ingannarsi e ingannarci con sincerità, dicendoci la verità. Lui sa che ci siamo e noi sappiamo che lui lo sa. Bisogna perdersi per ritrovarsi altrove. Dimitri Fulignati
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