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Titolo: Loach secondo LoachAutore: a cura di Graham FullerEditore: UbulibriData: 2000I libri bianchi, bross. edit. ill., minima traccia d'umidità al taglio davanti, lievi fioriture in quarta di cop. - prima edizione it. - trad. di Luciano Barcaroli, Carlo Hintermann, Daniele Villa - illustrazioni in b.n. nel testo, BUONE CONDIZIONI
recensioni di Cortellazzo, S. L'Indice del 2000, n. 10
Graham Fuller, caporedattore della rivista newyorkese "Interview", già critico cinematografico per il "New York Times", l'"Observer", il "Guardian", ha costruito questo libro-intervista con Ken Loach grazie a diversi incontri e colloqui svoltisi nell'arco di due anni, tra il 1996 e il 1997. Il volume, sicuramente il più interessante ed esaustivo mai uscito su Loach, ricostruisce l'intero percorso artistico del cineasta cercando di non ghettizzarlo relegandolo a una particolare branca di studi cinematografici focalizzati essenzialmente sulle istanze politiche e sociali presenti nel suo lavoro, ed evitando così il rischio di "offuscare lo spirito originario con cui le sue produzioni televisive e i suoi film sono stati realizzati". Fuller intendeva inoltre valorizzare le qualità stilistiche e narrative del cinema di Loach, "scandalosamente trascurate" nonostante siano alla base della limpidezza e lucidità che attraversa i suoi film.
Nella critica infatti la più che trentennale carriera di Loach non viene valorizzata come meriterebbe, né viene dato il giusto risalto alla grossa influenza avuta su altri autori, nel passato come nel presente, al punto che oggi lo si può considerare l'indiscusso capofila del nuovo realismo inglese. Basti andare a un nome di rilievo come quello di Stephen Frears, che così ricorda i propri esordi, fortemente influenzati da Loach: "Quando ho iniziato a fare film, egli faceva le cose migliori in giro. Sembrava possedere un'illimitata sorgente di creatività. Tutti noi alla Bbc eravamo dominati da lui. I suoi film possedevano un'autenticità e una poesia che ispirava e caricava". Per non parlare di molto cinema inglese degli anni novanta, con la moda operaista rappresentata da film come Full Monty di Peter Cattaneo e Grazie, signora Thatcher di Mike Herman. Film, questi ultimi, molto meno arrabbiati, più ammiccanti e accattivanti rispetto all'universo militante di Loach, che non si stanca, con rara coerenza, di lavorare in una direzione ben precisa: "Continuo a credere che il futuro del cinema sia nel suo essere contro".
Uno dei meriti indiscussi del volume curato da Graham Fuller è quello di dare molto spazio al lavoro di Loach meno conosciuto, quello che va dalla metà degli anni sessanta alla fine degli anni ottanta. Se il Loach degli anni novanta, quello di Riff-Raff, Piovono pietre, Ladybird Ladybird, My Name Is Joe è conosciuto e apprezzato a livello internazionale, i venticinque anni precedenti - di intensa attività come regista di sceneggiati e documentari per la Bbc, di film di fiction faticosamente realizzati per mancanza di finanziamenti, e ancora di moltissimi documentari commissionati da diverse realtà, spesso censurati o mai andati in onda, insomma buona parte della carriera di Loach - mai sono stati raccontati né tantomeno analizzati con simile dovizia di particolari, sia rispetto ai progetti realizzati, sia ai tanti abortiti, sia, infine, ai momenti di pausa forzata per mancanza di lavoro. Dai primi anni di apprendistato alla Bbc, alla prima incursione nei lungometraggi, dall'allontanamento forzato dall'industria cinematografica britannica alla fondazione di una propria piccola casa di produzione indipendente, la Kestrel Films, dalla censura politica degli anni ottanta alla rinascita degli anni novanta. Queste tappe essenziali della carriera di Loach vengono trattate in capitoli distinti, ognuno dei quali aperto da un'introduzione a firma di Fuller che contestualizza il periodo, fornendo al lettore chiavi di lettura essenziali per seguire la conversazione successiva con Loach. Un Loach sempre molto modesto, che esercita una sana autoironia e che si allontana volentieri dal racconto del proprio lavoro per soffermarsi su valutazioni più generali, di ordine sociale e politico. Un regista concentrato sui rapporti umani, la solidarietà e l'onestà intellettuale. Un uomo riflessivo e attento all'interlocutore, con un atteggiamento simile allo sguardo cinematografico utilizzato nei propri film, uno sguardo mai invasivo, bensì, nel tempo, sempre più semplice, rigoroso ed essenziale, alla costante ricerca della spontaneità.
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