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Lot - Bryan Washington - copertina
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Lot

Descrizione


Riconosciuto da innumerevoli premi come uno degli esordi più interessanti dell'anno, Lot rivela un talento del tutto singolare, con uno stile anch'esso a metà; fra la veracità di una prosa rapida, fradicia di melting pot e street knowledge, e la poeticità propria di certi orizzonti oleosi, di certe insicurezze sessuali e di alcuni, rari e centellinati, momenti catartici.

«Una magnifica raccolta di racconti autoconclusivi eppure legati tutti da un filo, come in un romanzo più ampio che guarda dentro le finestre di un condominio di periferia, dentro vite che popolano la stessa topografia» - Francesca Pellas, Il Foglio

Attorno a Downtown, dove i grattacieli delle compagnie petrolifere riflettono come prismi la luce del sole texano, la vera Houston è una distesa di parchi malmessi, immensi quartieri popolari, parcheggi, club, lavanderie a gettoni, superstrade e sottopassaggi. Qui la vita è nascosta e multiforme, colorata dai volti degli immigrati e da quelli dei loro figli, ma anche segnata da un certo tipo di destino, da possibilità lasciate per strada, dalla lottizzazione delle abitazioni e delle esistenze. È questo l'eco di significati riverberato da Lot. Fra i quartieri e gli incroci di questa Houston tentacolare, Bryan Washington concepisce un'opera a metà fra due forme letterarie. Da una parte il racconto, l'istante in cui ognuna di queste vite assume il proprio significato, il pettegolezzo delle viejas davanti alle loro shotgun house: cugine ex-prostitute che leggono Calvino per dimenticare un aborto, chupacabra alla deriva, squadre di baseball queer che improvvisano una partita dopo le devastazioni dell'ennesimo uragano. Dall'altra il romanzo, la spina dorsale di tutta la raccolta, che sembra canalizzare i sospiri di una città e dei suoi milioni di disperati: la lunga parabola di un protagonista senza nome che cresce fra l'assenza della sorella, la fuga del padre e le scelte violente del fratello maggiore, facendo i conti sia con la propria omosessualità sia con la propria complicata e immobile patria aliena, per una sorta di doppia e quasi impossibile emancipazione.
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Dettagli

2020
16 luglio 2020
240 p., Brossura
9788899767464

Valutazioni e recensioni

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Jolly Roger
Recensioni: 5/5

Forse il libro che più di tutti mi ha messo voglia di andare a vivere negli States! Mi pare anche una lettura fondamentale per capire questi anni fra Obama e Trump e ora con Biden, è quasi una guida agli Stati Uniti meno rappresentati. Consigliatissimo!

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Riccardo
Recensioni: 5/5

Un libro fantastico, un pungo nello stomaco, uno spaccato della periferia texana senza sconti. Nota di merito per la traduzione, davvero eccellente. Grande libro davvero, leggetelo

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Voce della critica

Riconosciuto dalla critica internazionale e da numerosi premi come uno dei casi letterari più interessanti degli anni recenti, LOT, esordio dello scrittore statunitense classe 1993 Bryan Washington pubblicato dalla Atlantic nel 2019, dopo il clamoroso successo di pubblico ottenuto negli States, è finito in breve tempo per valicare i confini d’Oltreoceano, approdando prima in Gran Bretagna e poi in Italia, grazie alla pubblicazione in lingua italiana curata da Racconti Edizioni con la preziosa traduzione di Emanuele Giammarco.

L’originalità di questo esordio letterario sta innanzitutto nelle scelte formali relative alla strutturazione dell’opera e al linguaggio utilizzato. Il libro è composto da sei racconti brevi interrelati tematicamente, a cui si aggiungono altri sette racconti dal respiro romanzesco in quanto frammenti di una storia più grande che costituisce la spina dorsale della raccolta ed è probabilmente la più autobiografica: è la storia di Nicolás dall’adolescenza all’età adulta, costretto a crescere da omosessuale in una realtà povera e violenta e in una famiglia di spettri, falcidiata dagli abbandoni e dalle assenze. Tutte queste storie spezzate sono raccontate attraverso uno slang asciutto e caotico, che per l’immediatezza visiva ricordano gli hashtag e le storie di Instagram, un pastiche linguistico impregnato da melting pot e da street knowledge e, al contempo, da un tono elegiaco proprio di quegli spazi marginali che sono sempre le periferie.

Washington ha ereditato da James Baldwin un approccio musicale alla scrittura, con i ritmi suburbani e ribelli del rap che dettano i tempi e il senso (laddove invece per Baldwin era il jazz la musica di riferimento). Il giovane scrittore di Houston dimostra inoltre di avere già una voce ben definita e potente nelle descrizioni dei personaggi e delle scene, mentre la sua scrittura può risultare grezza e artificiale nei dialoghi, non riuscendo a raggiungere la freschezza e l’attualità della fenomenale quasi coetanea Sally Rooney.

Le ambientazioni di LOT sono i vicoli dei quartieri popolari della Houston post-uragano Harvey del 2017, una città devastata dalla calamità naturale e sospesa in un processo di ricostruzione e di rigenerazione che non è mai avvenuto e che ha anzi assunto i tratti della gentrificazione e della ghettizzazione: fanno da sfondo alle storie i profili fatiscenti e ammassati delle shotgun house, delle lavanderie a gettoni, di superstrade, di ponti e di sottopassaggi, di fogne a cielo aperto, delle taquerias, dei banchi dei pegni, degli strip club, degli sfasciacarrozze, dei ristoranti e delle fabbriche desolate.

All’ombra di questa topografia tentacolare di degrado e sotto la luce crepuscolare di un sole dissanguante, queste raccontate da Washington sono vite al limite solo in apparenza surreali, sono resistenze più che esistenze: c’è un padre che affoga il cane di famiglia perché nessuno vuole portarlo fuori; ci sono due adolescenti che scoprono e accudiscono un chupacabra, animale leggendario appartenente alla mitologia contemporanea che si narra abiti in alcune zone delle Americhe, convinti che il piccolo essere possa rappresentare per loro una svolta sociale e sentimentale; ci sono le emozioni e le gioie delle prime esperienze di sesso omosessuale che uniscono giovanissimi provenienti da diverse culture e angoli del mondo; c’è un tradimento d’amore che finisce in tragedia quando la gente del quartiere decide di svelare il segreto perché quella storia è anche la loro, l’hanno partorita, l’hanno fatta risorgere dalle ceneri; ci sono poi Rod, Poke, Emil, Google, Nacho e Knock che vivono, o meglio si lasciano morire lentamente, tutti nella stesso appartamento con una sola stanza singola e una finestra a Montrose, uniti da uno strano e tacito patto di amicizia e di sopravvivenza; c’è la Liberty Station e Julep e il Margaritas to Go e il Galleria, non-luoghi di una movida sotterranea e posticcia che pur regala intimità provvisorie necessarie ad andare avanti; e c’è infine il sesso, tenero o brutale, che unisce o divide, che aiuta a conoscersi di più in fin dei conti, a spezzare il velo di profonda incomunicabilità che aleggia sotto il cielo di Houston.

Le periferie di Bryan Washington emozionano proprio perché non sono mitizzate ma vengono raccontate con dovizia di cronaca in tutta la loro crudele realtà; in questo aspetto Washington è più simile al Baldwin tenebroso de La Stanza di Giovanni o all’Henry Miller di Tropico del Cancro che ai luminosi padri novecenteschi della letteratura nordamericana quali Salinger, Kerouac e Fitzgerald. Non c’è la romanticizzazione dello squallido, è tutto vero e misero e grigio e nebbioso e senza speranza, perché così è la vita a certe latitudini e in determinati momenti, fino a quando non si ritrova sé stessi e la propria buona strada, magari fuggendo di notte dalla città, come capita a Nicolás nel poetico finale del libro, verso una spiaggia buia, immergendosi fra le onde, la sabbia, le bottiglie di plastica, ascoltando il lieve ruggito dell’acqua, in una sorta di rito battesimale di iniziazione di una nuova vita.

Recensione di Emmanuel Di Tommaso

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Una creatura letteraria ibrida, a metà tra romanzo e raccolta di racconti: nel libro sei brevi racconti si alternano a sette frammenti pensati come capitoli di un’unica storia di impronta autobiografica. La lettura balza piacevolmente dal racconto al romanzo, felice di seguire lo slalom di crescita del protagonista senza nome che tra un racconto e l’altro si fa carico della miseria di esistenze come la propria.

Nel coro degli scrittori americani impegnati nella narrazione delle periferie che gravitano attorno al grande capitalismo a stelle e strisce si inserisce una voce nuova: Bryan Washington e il suo esordio Lot. Siamo a Houston, dove la luce del sole texano si riverbera nelle ombre dei quartieri popolari che titolano ogni capitolo. Ogni racconto nella sua singolarità disegna una finestra sui bassifondi di un’America degradata e sfibrata, quale? Quella dei neri e latinoamericani, che «non dicono nulla di nuovo - a voler riprendere le parole di Francesco Costa - semplicemente ora hanno i mezzi per farsi sentire». La stessa novità del romanzo non è nei temi, bensì nelle scelte narrative dell’autore che non costruisce un testo di denuncia ma un documento di verità scevro di ogni sovrastruttura ideologica.

La prosa è netta e recisa e si concede nelle chiose una certa poeticità, sapientemente restituita da una traduzione ben riuscita nella resa linguistica dello slang americano, intriso di melting pot e street knowledge. Houston diventa, così, un diversivo per descrivere senza mezzi termini l’America altra che il grande capitalismo bianco tenta di celare sotto i fasti di una rigenerazione urbana e sociale.

Recensione di Marica Di Pietro

Si ringrazia il Master BookTelling dell'Università Cattolica di Milano

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Conosci l'autore

Bryan Washington

Bryan Washington è nato nel 1993, e ha già ottenuto importanti riconoscimenti come il Dylan Thomas Prize e l’O. Henry Prize. Dopo l’esordio con la raccolta Lot (Racconti Edizioni 2020), Promesse è il suo primo romanzo, da cui verrà tratta una serie tv prodotta da A24, la stessa casa del film premio Oscar Moonlight. 

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