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L'aspetto commerciale, l'industria-Lourdes col suo gigantesco fatturato, sarebbe il bersaglio più facile da colpire. Ma lo sguardo dell'autrice è più ampio, ne indaga gli aspetti reconditi, riflette sull'uomo, le sua fede più o meno autentica, le sue credenze pagane e le istituzioni che lo circondano, dalla chiesa alle associazioni di volontariato. Da questa panoramica a tutto tondo emerge una scarsa fiducia nelle persone, dedite agli intrighi sentimentali piuttosto che alla preghiera, opportuniste appena ne hanno l'occasione, gelose delle altrui fortune; nel personale ecclesiastico, sempre pronto a fornire una risposta, ma insufficiente e preconfezionata, e incapace di spiegazioni adeguate ai grandi interrogativi della fede e alle ingiustizie del modo; nella religione stessa, voce di un Dio che premia in maniera del tutto casuale, in barba a qualsiasi meritocrazia. Si è citato da più parti il nome di Luis Buñuel, ma l'ironia della Hausner è tutta in punta di penna, l'approccio ancora più rispettoso di quello del regista aragonese: Il campionario di difetti del mondo raffigurato non suggerisce una mostruosa disumanità dello stesso, ma piuttosto una certa bonaria pateticità, mentre il debito distacco osservato dell'autrice richiama piuttosto lo stile di un Aki Kaurismaki. Così come le scelte intelligentemente antispettacolari della messa in scena (ricca per altro di elementi stranianti, in senso generale più che brechtiano): su tutte la sequenza del presunto miracolo - perfettamente contrappuntato dalla malattia di una delle assistenti - che inizia in penombra e prosegue quasi del tutto fuori campo, mentre i sogni premonitori dell'evento, raccontati dai protagonisti, non sono mostrati. La regia semplice e alquanto personale, la capacità di descrivere tipi, momenti, luoghi, fanno insomma di "Lourdes" un piccolo grande evento della stagione in corso. Acuto, spassoso, assolutamente da non perdere.
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