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Luigi Sturzo e gli amici spagnoli. Carteggi (1924-1951) - copertina
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Luigi Sturzo e gli amici spagnoli. Carteggi (1924-1951)
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Descrizione


Il volume raccoglie i carteggi intercorsi per circa trent'anni tra Luigi Sturzo e 37 corrispondenti spagnoli, dei quali traccia un profilo biografico, recuperando figure anche poco note e, in molti casi, trascurate dalla storiografia del paese iberico. Si tratta di un corpus di quasi 600 lettere, che testimoniano come dall'esilio londinese, poi da quello statunitense, Sturzo seguisse da vicino le vicende spagnole: dalla dittatura di Primo de Rivera al primo franchismo, passando per la Seconda Repubblica e la guerra civile. I carteggi, assieme agli interventi pubblici distribuiti su riviste e giornali di vari paesi, per non dire dei riferimenti alla Spagna nei suoi volumi, mostrano che il sacerdote calatino fu, negli anni Trenta, l'uomo di Chiesa, l'intellettuale e il politico italiano che meglio conobbe e più intervenne con cognizione di causa sulle drammatiche vicende spagnole. Durante la guerra civile, attivo fautore del disimpegno della Chiesa dal sostegno ai militari ribelli e di una soluzione negoziata del conflitto, Sturzo fu tra le poche voci cattoliche fuori dal coro, in sintonia con le posizioni della cosiddetta "terza Spagna" È quanto documenta l'articolata introduzione che, sullo sfondo di un'attenta indagine dell'atteggiamento dell'episcopato spagnolo e della Santa Sede, messi a fuoco anche utilizzando le nuove fonti provenienti dagli archivi vaticani, ricostruisce con dovizia di particolari una stagione decisiva della biografia sturziana.
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Dettagli

2012
31 luglio 2012
CXLVI-572 p., Brossura
9788849831818

Voce della critica

"Luigi Sturzo fu l'uomo di Chiesa, l'intellettuale e il politico italiano che più ebbe rapporti, più fu informato e scrisse durante il decisivo decennio per la traiettoria del paese iberico in età contemporanea". A suffragare quest'affermazione del curatore sono sufficienti i dati quantitativi di questo volume: trentasette corrispondenze, per un totale di oltre 550 lettere scambiate, in un arco cronologico di tre decenni, ma concentrate soprattutto negli anni trenta. Quanto decisivo sia invece per la Spagna questo arco cronologico risulta chiaro se si pensa che questi sono gli anni della dittatura di Primo de Rivera e della Seconda Repubblica, e poi della sollevazione militare e dello scoppio della guerra civile, fino alla vittoria franchista; quanto lo sia per l'Italia, quando il regime fascista giungeva con l'avventura etiopica all'apice del consenso, è, per il fondatore del Partito popolare, non meno importante. Dodicesimo volume dell'epistolario scelto di Luigi Sturzo, parte quarta dell'assai meritoria e accurata pubblicazione dell'Opera omnia del sacerdote di Caltagirone, l'edizione si presenta al lettore con un'ampia e articolata introduzione di Botti su Sturzo, la Spagna e l'impegno dei cattolici durante la Seconda Repubblica e la guerra civile. Il curatore va qui ben oltre il compito di prefare il testo: egli mette a disposizione del lettore un'utile mappa storica orientativa, ripercorrendo (non prima di aver dato conto dello stato delle ricerche), lungo quasi tre decenni, i rapporti di Sturzo con la Spagna, dai primi contatti (uno fra tutti, quello con Alfredo Mendizábal), e il viaggio del sacerdote a Barcellona e Madrid (nella tarda estate del 1934), fino alle elezioni del 1936, che segnarono la vittoria del Frente Popular, e al colpo di stato franchista, con le prime valutazioni sturziane in merito; e poi dalle ipotesi di una mediazione internazionale e la difficile gestazione dei comitati per la pace e i loro appelli contro i bombardamenti, fra Guernica e Barcellona, sino alla lettera collettiva dell'episcopato spagnolo e la propaganda franchista fino all'ultimo Natale di guerra, alla vittoria dell'una e la disfatta dell'altra parte e al periodo immediatamente successivo al conflitto. La conclusione che Botti trae da questa ricognizione non solo del presente epistolario, ma delle prese di posizione pubbliche, delle fonti archivistiche e della letteratura storiografica presa in esame non è meno netta che giustificata: "Sturzo fu l'intellettuale europeo che con più determinazione, costanza e lungimiranza si batté, dapprima e durante gli anni della Seconda Repubblica, per evitare che cattolici e Chiesa spagnoli fossero identificati con le destre, poi, scoppiata la guerra civile, da una parte, per delegittimare dal punto di vista della morale cattolica la sollevazione militare e affermare un'interpretazione meno unilaterale del conflitto spagnolo, dall'altra, per far prevalere una soluzione di compromesso che mettesse fine alla carneficina". L'insistenza di Sturzo sul primo punto è ricorrente in questa raccolta; si può leggere, a titolo d'esempio, quanto scriveva l'11 ottobre 1936 ad -ngel Ossorio y Gallardo: "Io mi sono sforzato, nei miei articoli e lettere (…) per mettere in chiaro, che la Chiesa come tale e il papa come capo, non sono affatto partecipi alla rivolta e alla guerra. Le apparenze sono contro di me". Questi elementi aprono a una considerazione e contemporaneamente pongono un monito alla ricerca storica sulla chiesa e la guerra civile spagnola. La considerazione è che non è possibile in ogni caso, in particolare nel caso della guerra di Spagna, generalizzare e trattare la chiesa cattolica come un'entità monolitica e in tutto coerente al suo interno. Sturzo è esemplare nel suo aver avuto una posizione assai definita, che egli assumeva da e in quanto cattolico, e che tuttavia non coincideva con le posizioni (sfumate anche tra loro) del papa, della Segreteria di stato, o con quella espressa dai vescovi spagnoli nella lettera pastorale del 1937; la condotta di Sturzo fu dunque certamente esemplare, ma non fu l'unica eccezione nella chiesa degli anni trenta. Il monito storiografico che ne deriva è che l'interesse verso i pochi, pochissimi che "remarono controcorrente", come Sturzo o, se si vuole, più autorevolmente, il cardinale Vidal i Barraquer, è proprio per questo assai lodevole ma non dovrebbe esporsi al rischio di servire da espediente apologetico per parlare di una chiesa super partes, perché la chiesa in Spagna non lo fu, e non lo fu in Vaticano, dove semmai vi fu la preoccupazione di replicare negando le accuse di parte franchista di una supposta imparzialità del papa, a partire anzitutto dal discorso di Castel Gandolfo ai profughi spagnoli del 14 settembre 1936. Lo stesso può dirsi della successiva fase dell'organizzazione dei comitati per la pace: Sturzo ne fu inesausto animatore e, nel caso inglese, vero e proprio "motore", mentre le "preoccupazioni diplomatiche della Santa Sede ne soffocarono l'azione, che rimase al di sotto della soglia dell'impegno umanitario possibile sul piano politico-diplomatico e ben al di sotto di quanto era necessario sul piano pastorale". Questo ci porta a intervenire anche sulla questione della legittimazione teologica della violenza fisica. La presa di posizione pubblica della massima autorità vaticana, con un argomento teologico-morale (quali condizioni devono darsi per dire una guerra "giusta"?), appena al di sotto della piena chiarezza, è da datare al già menzionato discorso di metà settembre '36. In esso il papa parlava di guerra giusta adducendovi tre delle quattro tradizionali condizioni preliminari: una giusta causa, la minaccia del comunismo internazionale, con il suo tentativo di sovversione di ogni ordine; un'intenzione retta, che coloro che si erano sollevati cioè non avessero propositi men che giusti e non fossero motivati da un interesse di parte; e infine un giusto mezzo, e cioè che la guerra fosse il male minore data l'incombente minaccia. Il principale criterio, quello del potere legittimo, più e più volte viene denunciato come mancante dallo stesso sacerdote di Caltagirone, perché l'autorità legittima era in Spagna quella repubblicana. L'impressione che l'epistolario di Sturzo e la mappatura di Alfonso Botti sembrano confermare è che il rapido montare del "male minore" – le atrocità di una guerra per i suoi tempi modernissima per tecnologia e impatto sui civili – portò a ingigantire anche nel discorso pubblico la dimensione del "male maggiore", la minaccia rivoluzionaria; così, nel contempo, tuttavia, una strategia argomentativa cedeva gradualmente il passo a un'altra e si passava da un'argomentazione aristotelico-tomista delle giuste cause della guerra, improntata al pragmatismo, a una di tono apocalittico, tipica semmai dell'agostinismo politico: e l'unico argine contro il dilagare del sovversivismo, e del comunismo internazionale, si identificava con la cristianità, che nel caso spagnolo era da far coincidere naturaliter con la parte sollevata. Il riferimento di Pio XI, nel proprio messaggio di Natale del 1936, a papa Silvestro (314-335), pareva infatti confermare che quella desiderata dal pontefice era, più che l'opera del principe della pace, l'imperiale pax constantiniana, comportante, a suo tempo, la mutua influenza tra chiesa e diritto romano. Gianmaria Zamagni

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