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La via regia verso il mito di Fedra è l'"Ippolito" di Euripide. Di qui prende avvio la lettura di Nadia Fusini che ridispone sulla scena tragica quelle figure mitologiche, ognuna fissata nel suo gesto essenziale. Ecco Fedra, la luminosa, macchiata dal desiderio di Ippolito, avvolta nell'ombra della passione, sospesa all'altalena di una oscillazione spossante tra lo slancio amoroso e il ritegno... Ecco Ippolito, incapace di superare la sua egocentrica castità. E Teseo, con la sua troppo rapida ira. E il coro delle donne di Trezene, cassa di risonanza che trasforma in onda sonora il pathos della vicenda.
Ciò su cui Teseo aveva trionfato, il Toro, il Labirinto, l'Amazzone, tutto risorge; e con esso riscoppia la vitalità di ciò che non può essere represso, né vinto - la violenza dell'Eros. Torna a brillare la luce di Pasifae. Da quella madre che copula, genera e nasconde il frutto mostruoso del godimento, discende il destino di Fedra. In Pasifae prende corpo visibile, splendente, il destino della madre. La vita esiste per quel desiderio.
Contro la luce materna, che illumina tutto, ma soprattutto illumina desideri tremendi, e genera frutti mostruosi, Arianna porge l'arma a Teseo, Fedra invoca la luce del nome. Si ripete il gesto di Oreste contro la madre. Se Oreste ed Elettra sono la stessa mano, Fedra e Arianna sono la stessa fuga, lo stesso no alla madre.
Così nell'ordine olimpico le grandi madri recedono sullo sfondo, mentre in primo piano avanzano le divine Korai, le dee fanciulle, Atena, Artemide...; e le figlie, Elettra, Fedra, Arianna. Qui si chiude un processo. E comincia il nostro mondo: il mondo del figlio. Ovvero, di chi generato, vuoi maschio vuoi femmina, manifesta la necessità della separazione, la volontà dell'indipendenza e il desiderio dell'abbandono della matrice.
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