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Il viaggio nel tempo, un
recensioni di Quadrelli, P. L'Indice del 1999, n. 07
"Ma dove sono finito?" è la domanda che si pone continuamente il protagonista del romanzo, Roberto, il ragazzo quattordicenne già noto ai lettori del Mago dei numeri (1997; Einaudi, 1997; cfr. "L’Indice", 1998, n.10): se Roberto si stropiccia gli occhi mentre guarda un film, una fotografia o un quadro, si ritrova infatti catapultato in luoghi ed epoche lontani: nella grigia Siberia del 1956, in un’austera e bigotta comunità norvegese di metà Ottocento, in una piccola corte tedesca del Settecento, in mezzo alle devastazioni della guerra dei Trent’anni e, infine, nello studio di un pittore olandese del Seicento.
Enzensberger però, con un accorgimento raffinato, non rivela subito, all’inizio di ogni viaggio, dove si trovi Roberto, accrescendo con questo la suspense nel lettore, inducendolo ad avanzare congetture e a indovinare dove si svolga l’azione. Enzensberger dimostra di non sottovalutare l’intelligenza del suo giovane lettore ed evita tutto ciò che rende altrimenti insopportabile la maggior parte della letteratura per ragazzi, cioè l’intento scopertamente didattico, le ingenue semplificazioni, le pedanterie didascaliche e moralistiche. Prevalgono invece un tocco lieve e una tonalità ironica, mentre gli ambienti del passato sono ricostruiti con un rigore storico e geografico che non è disgiunto dalla capacità di evocare empaticamente atmosfere e suggestioni.
Un capolavoro di ironia è, ad esempio, la raffigurazione del mondo sovietico: il lusso sontuoso e di cattivo gusto della nomenclatura, contrapposto all’eterno odore di cavoli nei corridoi degli appartamenti in comune, l’ipocrisia eufemistica e la dietrologia paranoica dei burocrati.
Numerosi sono i personaggi, le scene e le descrizioni memorabili: lo spettrale signor Tidemand, seguace delle teorie di Emanuel Swedenborg sulla trasmigrazione delle anime, le conversazioni cerimoniose e vacue alla corte di Herrenlinden, le canzoncine insulse che imperversavano nel 1930, la follia di Treibnitz, matematico del Settecento, che impazzisce dopo aver passato due giorni a fare calcoli sulla calcolatrice tascabile di Roberto, la descrizione dello studio del pittore olandese (e del suo quadro che ricorda L’atelier di Vermeer), la parodia di un certo tipo di conversazione snob, tipicamente anglosassone, tra i coloni in Australia.
Paola Quadrelli
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