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Quali distanze o legami tra questi pensatori? Schumpeter:approccio pragmatico e sistemico, nel metodo della variazione, leggi formali, logiche non statistiche che si fondano sulla relazionalità (non approccio causale-scientifico):relazioni funzionali che portano nella sfera dello scambio (fiducia nel mercato e remunerazione marginale dei fattori) con il capitale monetario/bancario che espande la produzione e sua interazione con l’innovazione. Teoria dello sviluppo che non compone Economico/Politico il quale ultimo è irrapresentabile/indeterminabile nel paradigma economico. Vedi statica/dinamica e il fatto economico (non come datità) come rappresentatività concettuale-relazionale della realtà per necessità tecniche (variabili endogene). Keynes: funzionalismo non sostanzialismo, nella necessità del governo delle relazioni economiche nel ciclo economico instabile poiché domina la moneta. Probabilismo by argument che muove Keynes da proposizioni, non da eventi. Comparare, misurare,principio di indifferenza nei corpus of knowledge ,nella rottura epistemologica della moneta come legame non neutro tra passato e futuro, principale causa del maggior numero di aspettative non sempre razionali (vedi ipotesi finzionale tra risparmi e investimenti: separatezza/dipendenza e saggio di interesse).Marx: lavoro vivo come categoria ontoermeneutica, interpretando l’evento dell’essere sociale (eccedenza) nella sussunzione del processo lavorativo alla valorizzazione: nuovo valore d’uso delle condizioni dove plusvalore è altro del calcolo del profitto (una differenza specifica).Ora si fa vivere e si lascia morire, nel compimento del rapporto Economico/Politico, mentre il pensiero della Krisis mostra la differenza tra Keynes e Sraffa. E’ la dicotomia sostanza/funzione che informa lo statuto della scienza moderna e della sua teoria economica: il general intellect qualifica le vite dei soggetti nel rapporto foucaltiano tra bio-storia e bio-politica (approccio ontoermeneutico). Stimola approf
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Schumpeter, Keynes e Marx ebbero in comune da un lato il deciso sguardo critico con il quale ciascuno di essi analizzò il paradigma economico nella sua epoca predominante, e, dall’altro lato, l’intendere come necessaria la relazione fra economia e politica. La scelta dell’autore è quella di trattare queste tre macchine di pensiero da una prospettiva metodologica, al fine di capire come essi trattarono uno dei più problematici rapporti della modernità, quello fra economia e politica. Tuttavia l’intento di questo saggio non è quello di evidenziare le affinità tra i tre pensatori, bensì il fissarne le differenze, che sommariamente emergono già dai titoli dei tre paragrafi in cui si articola: Schumpeter impolitico, Keynes politicus, Marx inattuale. Nel capitolo dedicato a Schumpeter, l’autore si sofferma particolarmente sul ruolo del fattore temporale nell’analisi economica dell’austriaco, che sfocerà nella sua teoria dell’innovazione come elemento caratterizzante il processo economico capitalistico, nel quale sono chiaramente distinti i fattori endogeni da quelli esogeni. E proprio questa demarcazione netta presente nel pensiero di Schumpeter gli permette di tenere ben distinti il Politico dall’Economico. Riguardo al pensiero di Keynes è inevitabile considerare il problema dell’incertezza, presente dal Treatise on Probability alla General Theory, che lo rende de facto un filosofo e un epistemologo. Negli anni venti è già chiara la distinzione fra il suo pensiero e quello ortodosso, e sempre maggiore importanza assume in questa prospettiva il rapporto con Wittgenstein. Detto in sintesi, egli riteneva impossibile considerare l’economia politica autonomamente rispetto alla teoria economica. Circa l’inattualità di Marx, essa si giustifica con il considerare il lavoro vivo come una categoria "ontoermeneutica", "compimento del rapporto fra Economico e Politico". (G.B.)
scheda di Becchio, D. L'Indice del 1999, n. 10
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