L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
IBS.it, l'altro eCommerce
Cliccando su “Conferma” dichiari che il contenuto da te inserito è conforme alle Condizioni Generali d’Uso del Sito ed alle Linee Guida sui Contenuti Vietati. Puoi rileggere e modificare e successivamente confermare il tuo contenuto. Tra poche ore lo troverai online (in caso contrario verifica la conformità del contenuto alle policy del Sito).
Grazie per la tua recensione!
Tra poche ore la vedrai online (in caso contrario verifica la conformità del testo alle nostre linee guida). Dopo la pubblicazione per te +10 punti
Tutti i formati ed edizioni
Promo attive (0)
paginette noiosissime, estremo frutto di letture e studi dotti di Pasolini. l'autore si guarda l'obellico e scrive. per riprendermi mi sono fatto due romanzi di aldo busi: così si guarda il mondo, così si scrive di certe cose.
Recensioni
Per i pitagorici il corpo femminile era emblema del caos. Anche Gadda, nel Pasticciaccio, fa del corpo offeso e soave di Liliana Balducci un grumo di disordine, simbolo del pasticcio tragico dell'essere. Vorrà dire che il corpo maschile rappresenta inversamente l'ordine e l'armonia? Da Platone a Leonardo a Winckelmann una tradizione poco politicamente corretta - e tutta culturalmente gay - sembra volerlo attestare. Nel 1994 Walter Siti, col suo ponderoso esordio narrativo Scuola di nudo (Einaudi), scolpiva il proprio amore per i culturisti senza esitare di fronte all'assoluto del corpo: "Mi vergogno di preferire i muscoli all'affetto, ma non c'è niente di vergognoso nel preferire alla psicologia la metafisica", scriveva lo studioso di psicoanalisi e letteratura; anzi, dichiarava di essere affascinato dai body-builders perché riescono a trasferire "sul fisico la ricerca di dio".
Il fisico del culturista moderno, come quello classico dell'eracle epitrapezio di Lisippo, assume una forma che trascende il corpo e lo proietta in un ulteriore metafisico, lo distingue dal corpo maschile standard, anche il più sexy, forgiandolo in una ricerca paradossalmente spirituale, bruciandolo quasi, ma approdando a una consistenza la cui solidità ha morbidezze d'angelo e di nuvola, o di marmo, che alla fine è lo stesso, in una prospettiva appunto non più fisica ma metafisica. Un prodotto così postmoderno di tecniche di palestra è assunto nell'astrazione del classico, cioè del senza tempo per eccellenza. Tutto per dire che il corpo del giovane maschio erculeo si fa eminentemente luogo mentale. Operando così una sorta di trasvalutazione, non so quanto nietzescheana, per cui la superiorità del corpo sull'anima è sancita in virtù di un investimento quasi religioso del corpo, nella sua nudità dolcemente ottusa, rispetto al quale l'anima è soggiogata, umiliata, avidamente contemplante. Femminilizzata. Insomma: "L'aristocrazia del corpo è più difficile di quella dello spirito", come ancora si leggeva in Scuola di nudo.
Con La magnifica merce, ora (terza prova dopo Un dolore normale del 1999), Siti offre un testo teatrale e due racconti che hanno sempre al centro una grande scultura vivente maschile; l'ultimo racconto ci parla di un giovane fotografo che incontra Pasolini e lo ritrae nudo, poco prima della sua spaventosa fine.
Il primo pezzo del volume, Perché io volavo, è in forma di dialogo fra il procacciatore di magnifici ragazzi per un misterioso uomo politico e uno dei selezionandi, Marcello, un Mister Universo ormai in leggera decadenza ma ancora spettacolare. I colloqui, a formare una vera pièce teatrale, scorrono con estrema fluidità e ricchezza inventiva; ne emerge la figura di un Ercole romano della borgata, campione di espansione muscolare ma anche devastato da una debolezza congenita, da una tendenza al masochismo, persino, e da una passività radicale di fronte alla vita. Qualcosa di davvero troppo umano e insieme di angelico, anzi, "un portatore inconsapevole di divinità", come commenta Saverio, il selezionatore che alla fine cadrà innamorato di lui.
I promemoria di Saverio sono il commento-controcanto ai dialoghi; vi fioriscono paradossi cari a Siti (e, diversamente, già a Pasolini) e vi si descrive la particolare "guaina spirituale", dell'"acciaio vellutato" che sostanzia il fisico di Marcello, uomo-emblema di una particolare femminilità dei culturisti, quasi che la loro ipertrofia dei caratteri maschili, tutta curve e montuosità, travalichi l'identità fino a giungere a una angelicazione brutale, dove appunto il marmo si fa nuvola e viceversa. In questo senso uno dei suoi amanti, Luciano, la cui lettera di addio si legge in una fittizia appendice documentaria al testo, non lo ha capito, giungendo a disprezzarlo come "un piagnucoloso gigante che non sa che fare dei propri muscoli". Infatti questo Luciano, che si esprime secondo coordinate culturali vistosamente di destra, avrebbe voluto eroizzare Marcello indirizzandolo verso un cammino a Dio fatto di potenza e superiorità fisica assolute, schiacciando la vigliaccheria svirilizzata dei tempi moderni, mentre ha trovato in lui una sorprendente debolezza e flessibilità. "Solo un lavacro di sangue potrebbe riportare la nobiltà nei tuoi occhi", gli scrive, e denuncia in una esaltazione grossolana la propria delusione di sacerdote dell'amor fati. Marcello rappresenta dunque la natura femminea del superuomo: il suo scacco è per Luciano un abbrutimento, per Saverio (e per l'autore) una gloria martiriale moderna.
Qualche parola merita l'ultimo racconto, al cui centro non è tanto il fotografo giovinetto che cattura invano l'immagine dello scrittore inattingibile e disperato, quanto Pasolini stesso, prossimo alla sua atroce esecuzione e carico di morte. Walter Siti è fra i massimi studiosi dell'opera di Pasolini, di cui ha curato l'edizione integrale nei "Meridiani" Mondadori. Ma non ci offre affatto una mitografia santificante del poeta, tutt'altro. Il suo Pasolini è totalmente e lugubremente solo, in un'aristocrazia tanto più sadica quanto più sfrenata dalla disperazione. Il suo disprezzo per il ragazzo meschino e borghese che si è portato a letto si miscela a un desiderio dilaniante per l'immagine dei giovani fascisti spavaldi violenti meravigliosi, "loro i depositari del mistero", forse proprio le guardie-aguzzini di Salò, equidistanti nella loro muscolarità animale sia dai pervertiti anziani che dalle vittime inermi. "Immondizia umana, sia le vittime che i boia. Ma peggio le vittime".
L'estremo Pasolini di Siti non trova più alcun valore, o meglio interesse, stimolo, se non nella capacità giovanile di violenza, incosciente perfetta espressione incoercibile dell'essere maschi. Spietata diagnosi che rischia di avallare e replicare quel luogo comune osceno per cui il grande poeta sarebbe andato incontro alla morte volontariamente, quasi provocandola. Quando invece il suo linciaggio fu frutto certo di una premeditata e feroce organizzazione, da lui prevista e ben denunciata in anticipo. Ma questo è solo un pezzo della storia nera d'Italia.
L'articolo è stato aggiunto al carrello
L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
Siamo spiacenti si è verificato un errore imprevisto, la preghiamo di riprovare.
Verrai avvisato via email sulle novità di Nome Autore